Chi ha fatto lo sgambetto a Wilders?
18 Marzo 2017
Prima del voto in Olanda, l’ex ministro degli esteri dei cristiano democratici Ben Bot spiegava che l’escalation tra l’Aja e Ankara – scattata dopo i respingimenti dei ministri turchi impegnati nel tour elettorale a favore dell’autoritario referendum presidenziale voluto da Erdogan – era frutto di “considerazioni elettorali” interne al suo Paese e del suo premier, Mark Rutte, uscito poi ‘vincitore’ dalle elezioni (in realtà Rutte ha perso molti seggi e non è scontato quale sarà il governo destinato a guidare la nazione). Rispedire a casa i ministri turchi è stata una mossa politica utile e spregiudicata per Rutte, intestarsi, da premier, una battaglia che faceva presa sull’orgoglio nazionale ferito dopo le accuse di Erdogan all’Olanda “nazista”.
Siamo noi quelli che proteggono i vostri interessi, il messaggio lanciato dal leader del VVD, siamo noi a difendere l’Olanda dallo straniero, e se il tema di questa campagna elettorale doveva essere l’immigrazione, Rutte ha saputo sorprendere l’elettorato, mentre il suo grande avversario e favorito nei sondaggi, Geert Wilders, che su questi temi si è sempre battuto, ha avuto meno chance di conquistare nuovi elettori. Wilders non ha vinto ma ha comunque rafforzato la sua presenza in parlamento. Ed è stato lui a chiedere, per primo, il respingimento dei ministri turchi. Ma la tempistica dello scontro infuocato fra Olanda e Turchia è un po’ sospetta, lo scontro è scoppiato in concomitanza con il voto, e qualche dubbio sulla reale dinamica dei fatti resta, tanto più che è stato un gioco “win win”, servito sia a Rutte che a Erdogan per alzare i toni nelle rispettive sfide elettorali e conquistare consenso.
Non ci sono prove o riscontri certi di un accordo a tavolino tra i due leader, fatto sta che da una parte abbiamo il machiavellico Erdogan, quello del presunto colpo di stato della estate scorsa, che ha aperto la stagione delle grandi purghe in Turchia con decine di migliaia di arresti, un politico che non ha più niente da perdere, dall’altra parte c’è Rutte, figura sempre presente nei vertici europei, parte integrante dell’establishment di Bruxelles che proprio con Erdogan ha siglato il patto che prevede un mega assegno miliardario per Ankara, in cambio di una stretta sulla immigrazione. Accordo che adesso la Turchia minaccia di far saltare ma che per ora non è mai stato realmente messo in discussione perché funzionale alla relazione speciale fra Berlino e Ankara, la cancelliera Merkel e il sultano.
Qualcosa però non torna se il governo turco, proprio mentre Erdogan lanciava bordate pesantissime contro gli olandesi, rassicurava la comunità degli investitori, sempre olandesi, sulla continuità degli affari e degli scambi commerciali tra i due Paesi. Così mentre i giornali titolavano “fermato Wilders, stop all’onda populista”, il sultano di Ankara e la elite di Bruxelles brindavano, ognuno per conto suo e per il proprio tornaconto, alla continuità. Ovvero continuare a pagare Erdogan per fare il guardiano dei confini europei. Wilders invece voleva fermare l’immigrazione musulmana e chiudere le moschee. E forse per questo, alla fine, Erdogan ha preferito duellare con Rutte nella partita delle elezioni olandesi, una escalation durata il tempo qualche giorno. In tempo per alterare, come direbbe Obama, l’esito del libero voto popolare?