Chi ha tradito Osama Bin Laden?

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Chi ha tradito Osama Bin Laden?

07 Maggio 2011

“Mi spiace, lo sai che non posso dirti dove mi trovo”.

A parlare era lo spirito del mio vecchio amico James Jesus Angleton, ormai da tempo nel mondo dei più, con cui mi ero messo in contatto attraverso una tavoletta Ouija. Speravo in una discussione ricca di rivelazioni, ma probabilmente avevo iniziato con una domanda sbagliata. Volevo sapere se James poteva parlare col fantasma di Osama bin Laden, e avrei dovuto immaginarmi che un suo “sì” equivaleva a svelarmi il luogo in cui si trovava.

ML: “Scusami, non intendevo quello. Però saprai che ci sono un sacco di domande sull’operazione che l’ha tolto da questo mondo”.

JJA: “E come no! Di questo, ne parlo molto volentieri. E’ un bell’argomento per chi è appassionato di controspionaggio… Ci sono tanti modi di interpretare quanto accaduto. La versione della Casa Bianca è tra le più improbabili. Il fatto che abbiano già raccontato più di una storia, cambiando anche dettagli fondamentali, fa pensare che vogliano coprire la genesi dell’operazione”.

ML: “Mi stai dicendo che non credi al pedinamento di un corriere?”

JJA:  “Beh, ovviamente i corrieri li pediniamo. Ma fino a quando non ti siedi faccia a faccia con un corriere, e non decidi di credere a quel che ti dice, il solo starlo a guardare non ti dà un gran che di informazioni operative come il giusto piano della villa, il numero di persone al suo interno, lo stato del bersaglio, che armi vi sono all’interno e via discorrendo”.

ML: “Stai dicendo che ci siamo serviti di qualcuno che ci desse queste informazioni?”

JJA:  “Almeno uno, forse di più. E’ sempre meglio averne più d’uno, ti dà un po’ di fiducia in più sull’accuratezze delle tue informazioni”.

ML:  “E quella fonte, o quelle fonti, chi potrebbero essere?”

JJA: “Non dovremmo essere così asettici quando parliamo. Sto dicendo che Osama è stato tradito. Qualcuno, o alcuni che conoscevano bene la situazione, ce lo ha consegnato. E allora la domanda è: chi lo ha tradito? E perché?”

ML: “Bene, stiamo arrivando da qualche parte. Perché qui sorge una grossa domanda: come abbiamo pagato il traditore?”

JJA: “Giusto, si tratta di un aspetto chiave nello spionaggio”.

ML: “Sì, agli spioni piace parlare delle cose che possono offrire, delle debolezze su cui possono far leva per reclutare informatori. Chi vuole soldi, chi sesso, chi lo da per motivi politici e ideologici…”

JJA: “Non dare troppo peso a queste storie sul reclutamento. Le migliori spie, in genere, sono quelle che arrivano da sole. Durante la guerra fredda, le nostre spie migliori non le abbiamo reclutate. Venivano loro da noi. Fino all’ultima…”

ML: “Tu lo saprai! Chi è venuto da noi?”

JJA: “Probabilmente i pachistani. Loro lavorano con un sacco di terroristi di al Qaeda, lo sappiamo. In subordine, potrebbe trattarsi di un alto esponente di al Qaeda, qualcuno, per capirci, del livello di un al Zawahiri”.

ML: “I pachistani? Ma tutti qui a Washington non fanno che dire che ci hanno preso in giro. Dovevano sapere che bin Laden era in quella villa, ma non ce l’hanno mai detto. Quei bastardi si prendevano i nostri soldi mentre proteggevano il nostro bersaglio numero uno”.

JJA: “Già, già… Quindi erano in condizione di tradirlo”.

ML: “E perché lo avrebbero fatto, visto che erano in combutta con lui?”

JJA: “Ci sono tante ragioni possibili. Una è che le cose cominciavano ad andare male tra noi e loro. Pensa alle parole, durissime, del generale Petraeus, di tanti membri del Congresso, di tanti giornalisti. E il regalo bin Laden avrebbe reso un po’ più felice l’amministrazione Obama.

ML: “Infatti l’America oggi è più felice”.

JJA: “Esattamente. I pachistani non volevano perdere tutti quei soldi, e un’America rabbiosa in tempi di vacche magre sarebbe un rischio per loro”.

ML: “Quindi avremmo promesso di continuare a sostenere finanziariamente il Pakistan, in cambio di Osama?”

JJA: “Anche di più”.

ML: “Che altro potremmo offrire?”

JJA: “La fine della violenza in Afghanistan. Basta con Predator, Hellfire, raid…”

ML: “Questo rientra anche nel programma di Obama, non è vero?”

JJA: “In effetti. Ma potrebbe essere anche negli interessi di un’importante parte di al Qaeda. Per esempio, al Zawahiri…”

ML:  “Non ti seguo”.

JJA: “Colpa mia, perdonami. Ho saltato un paio di passaggi. La guerra in Afghanistan sta andando male per al Qaeda. Li stiamo massacrando ormai da mesi, per rendersene conto basta leggere i bollettini militari. Di conseguenza i loro reclutamenti languiscono, così come i finanziamenti e il morale. E’ inevitabile che in questa situazione si apra una crepa nell’organizzazione. Alcuni vogliono combattere, altri dicono: riduciamo le perdite e concentriamoci su altre opportunità in altri posti… dopo tutto, il mondo cambia…”

ML: “Altri posti come l’Egitto?”

JJA: “Esatto, come l’Egitto. Il paese di Zawahiri, che è ben più importante per il futuro della jihad…”

ML: “Un Califfato!”

JJA: “Ben detto, un Califfato, quello che era l’Afghanistan quando si è trasformato in un inferno”.

ML: “Inizio a capire. Bin Laden non voleva ammettere la sconfitta in Afghanistan, e l’Egitto poteva sembrare troppo grande per una piccola organizzazione come al Qaeda. Così si è aperta una frattura”.

JJA: “Già. Che ha dato ai nemici di bin Laden all’interno di al Qaeda un motivo per tradirlo, o da soli o per mezzo dei pachistani, dai quali hanno ricevuto protezione per tutti questi anni”.

ML: “Così è stato un colpo di terza sponda, a colpire bin Laden?”

JJA: “Forse. Siamo stati d’accordo a ritirarci, forse anche del tutto. Al Qaeda – perlomeno la fazione anti-bin Laden – ha preso la stessa decisione (si sono ridislocati al Cairo o a Luxor). E tutto quello che i pachistani volevano da noi, riguardo al blitz, era un’unica garanzia”.

ML: “Quale?”

JJA: “Che Obama NON fosse interrogato”.

ML: “Evidente! Perché non volevano che ci parlasse di…”

JJA: “Di LORO. E anche di altri, comunque. Di Zawahiri, degli affari sauditi, dell’aiuto dato in Siria da Assad ad al Qaeda. E’ una lista piuttosto lunga. Tutti questi soggetti volevano bin Laden morto. Nessuno voleva che venisse interrogato, ancor meno in un processo pubblico, militare o civile che fosse”.

ML: “Tutto ciò spiega molte cose dell’operazione, non è vero?”

JJA: “Spiega perché nessun pachistano – soldato, poliziotto, neanche un semplice passante – si sia avvicinato a vedere quel che stava accadendo in quella villa, un fracasso durato ben tre quarti d’ora. Spiega perché non ci sia stata alcuna reazione dei pachistani quando abbiamo invaso il loro spazio aereo e abbiamo operato dentro, molto dentro, i loro confini. Ci saremo rimasti circa sette ore, sul suolo pachistano”.

ML: “In effetti, la cosa mi ha dato da pensare”.

JJA: “Lo vedi! Non è stata proprio un’operazione congiunta, ma indubbiamente ci siamo messi d’accordo su alcune cose. Avremmo dovuto ucciderlo. Sembra che una delle sue figlie stia dicendo che lo abbiamo catturato senza che opponesse resistenza e poi lo abbiamo fucilato, il che collima con la mia ricostruzione dei fatti. In cambio, ci avrebbero concesso tutto il tempo necessario per operare, in quella villa”.

ML: “Ma allora, tutto questo accusare il Pakistan non è che una finta?”

JJA: “Ovviamente. Ma non sono tanti quelli che dubitano, o no?”

ML: “No, hai ragione. Tutti vogliono far festa. Il mio amico Toby del Telegraph di Londra è una delle poche eccezioni”.

JJA: “Un inglese, non uno del gregge americano…”

ML: “Grazie, Jim… Permetti un’altra cosa, visto che sei così disponibile?”

JJA: “Prego”.

ML: “Se ti capitasse di incontrare bin Laden…”

A quelle parole, la tavoletta Ouija ha preso fuoco. Ma ci ha lasciato una storia niente male, non è vero?

© Faster, Please!
Traduzione Enrico De Simone