Chi rappresenta Charlie in tribunale contro i genitori

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Chi rappresenta Charlie in tribunale contro i genitori

14 Luglio 2017

Nell’attesa della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia britannica su Charlie Gard è interessante conoscere anche gli altri protagonisti della vicenda, oltre ai coraggiosissimi genitori del piccolo. Per esempio l’avvocato che parla per conto del tutore di Charlie, e che quindi in fin dei conti rappresenta proprio il bambino, in tribunale, e che dovrebbe perseguire in prima persona e pienamente il suo “best interest”, ancor meglio della famiglia Gard (che in tribunale è rappresentata da altri avvocati).

Stiamo parlando di Victoria Butler-Cole, brillante quarantenne esperta del settore, con un curriculum ricchissimo, e soprattutto significativo. Leggiamo innanzitutto che la Butler-Cole è stata Assistent Director del Nuffield Council on Bioethics, un comitato di Bioetica inglese che si dichiara indipendente, finanziato dalla Nuffield Foundation, dal Medical Research Council e dal Wellcome Trust, noto per le sue posizioni sempre invariabilmente “liberal” (per esempio a favore degli embrioni misti umano/animali, degli embrioni con Dna di tre persone diverse e di molto altro).

La brillante avvocato è poi presidente di “Compassion in dying”, una charity che vuole aiutare i cittadini in tutte le decisioni personali sul fine vita, supportando ad esempio le direttive anticipate di trattamento specie per trattamenti che si vorrebbero rifiutare nel caso non si fosse più in grado di dare il proprio consenso. Dal punto di vista finanziario, il miglior anno è stato il 2012, quando hanno raggiunto 1,023,133 sterline a fronte di 336,436 di spese. Particolarmente significative le brevi biografie dei dirigenti: nello staff, ad esempio, Chief Executive è Sarah Wootton (fra i fondatori di Abortion Rights) che è anche Cheif Executive nella associazione sorella – così viene definita – “Dignity in Dying”, esplicitamente dedicata al sostegno dell’eutanasia. Anche Davina Hehir – Director of Policy and Legal Strategy- e Lloyd Riley – Policy and Research Manager – rivestono la stessa carica nella associazione a sostegno dell’eutanasia, mentre l’attuale tesoriere, Niccola Swan, è stata solamente membro del board di “Dignity and Dying”. Ma soprattutto Victoria Butler-Cole ha seguito numerosissime cause in ambito medico, molte delle quali proprio riguardanti persone non più capaci di esprimere il proprio consenso alle cure.

Leggiamo che lo scorso gennaio, per esempio, il Times la incoronava “avvocato della settimana” per aver brillantemente curato gli interessi di Lindsey Briggs: suo marito, Paul Briggs, 43 anni, veterano della guerra del Golfo, era in stato di minima coscienza dopo un grave incidente stradale nel 2015, e la consorte chiedeva di portarlo in hospice per ricevere cure palliative e sospendere alimentazione e idratazione assistita. “La signora Briggs è certa che suo marito non avrebbe voluto continuare a ricevere questi trattamenti”, dichiarava ai giornali la Butler – Cole lo scorso novembre, e l’Alta Corte il gennaio successivo le ha dato ragione, nonostante i medici ritenessero che ci fossero possibilità di miglioramento. Non è certo la prima volta che accade qualcosa del genere in Gran Bretagna, ma – sottolinea The Times – “è la prima che una Corte ha stabilito che acqua e cibo vengano sospesi ad un paziente clinicamente stabile”.

Intervistata sul caso Briggs, alla domanda “Quale legge vorrebbe promulgare?”, la Butler-Cole risponde “Quando la Court of Protection (tribunale inglese chiamato in causa per chi non è in grado di dare il proprio consenso) decide che non è il miglior interesse di una persona continuare a ricevere nutrizione e idratazione artificiale, questa è interrotta e la persona muore disidratandosi lentamente. La Corte non può autorizzare invece una dose fatale di farmaci. Secondo me, questo è chiaramente sbagliato”. Meglio un colpo secco, insomma, in certi casi. Difficile darle torto, certo, ma vogliamo sommessamente osservare che l’idea molto ben illustrata di “best interest” ci lascia a dir poco perplessi.

Più recente, lo scorso maggio, un altro caso analogo: una donna di 70 anni che chiede la sospensione dei supporti vitali per sua figlia, che di anni ne ha 50, ha la Corea di Hungtinton, da più di venti non mostra consapevolezza di ciò che la circonda e sembra arrivata ormai alla fine. Victoria Butler-Cole rappresenta la mamma in tribunale. E alla domanda “come vorrebbe essere ricordata”, la Butler-Cole risponde “per il mio coinvolgimento con la charity Compassion in Dying, incoraggiando le persone a scrivere le proprie decisioni anticipate per rifiutare i trattamenti, così che le loro famiglie poi non abbiano bisogno di rivolgersi ai tribunali”. Ma siamo sicuri che una persona così possa rappresentare il “best interest” di Charlie?

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