Chiedere maggiori poteri per il presidente del consiglio non è una fisima del Cav.

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Chiedere maggiori poteri per il presidente del consiglio non è una fisima del Cav.

28 Maggio 2010

 

Per quanto l’attualità sia dominata dalla manovra economica, legata in gran parte alla crisi internazionale (cui si aggiungono, con effetti negativi non lievi, errori di governance in ambito europeo), al di sotto delle polemiche correnti si percepisce con nitore la difficoltà di fondo che condiziona in negativo la nostra vita pubblica.

Non è solo il ritornello che, per quanto vero rischia di risultare un po’ frusto, delle mancate riforme istituzionali in grado di risolvere in modo definitivo il problema della capacità decisionale del governo; ma anche il fatto che quel tanto di riforme che si sono fatte sono state fatte dalla parte sbagliata.

Dalla fine degli anni settanta del secolo scorso il sistema politico italiano necessita di una riscrittura della costituzione che consenta una maggiore continuità ed efficacia all’azione di governo.

Tramontata la democrazia dei partiti, che erano oramai delle macchine sclerotizzate non più in grado di produrre classe politica (e le conseguenze si vedono ancora oggi), occorreva trovare nuova linfa al sistema politico rafforzando il legame tra elettori ed esecutivo. Purtroppo, in quella oramai lontana stagione non c’erano le condizioni culturali, prima ancora che politiche, per fondare una democrazia di leadership. Così la situazione si trascinava stancamente fino alla fine della guerra fredda. Allora il sistema crollava di colpo. Dalle macerie della prima repubblica si usciva grazie alla intuizione berlusconiana che metteva in piedi un volonteroso conato di democrazia immediata. Pure, questo cambiamento, per quanto essenziale, restava nell’ambito della prassi, senza tradursi in una riforma mirata della costituzione.

Col passare del tempo le cose si complicavano perché alla difficoltà iniziale se ne aggiungeva un’altra. L’eccessivo peso fiscale diventava sempre meno tollerabile per la parte più produttiva del paese. A partire dalla innegabile esigenza di una riduzione delle tasse prendeva forza la richiesta una maggiore autonomia in ambito locale. Poiché si trattava di un comparto sul quale era meno difficile intervenire, su questo versante qualcosa è stato fatto. A partire dagli anni novanta del novecento si sono rafforzati in modo significativo gli esecutivi locali. Elezione diretta dei sindaci, poi dei presidente delle regioni. A questo si sono aggiunte anche riforme mal congegnate, come quella del titolo V, varata quasi in articulo mortis dal governo di centro-sinistra nel 2001, che ha accresciuto di molto il contenzioso tra governo e regioni.

Però il governo centrale restava strutturalmente debole. Certo, abbiamo avuto un’alternanza di diverse maggioranze, ma queste, al di là del colore politico, sono state spesso in balia di una pletora di formazioni politiche parassitarie (veri e propri partiti canaglia), ovvero condizionate da pratiche partitocratiche defatiganti e incomprensibili all’opinione pubblica. Da qui una situazione schizofrenica che drogava anche il dibattito pubblico. In questo modo si è perpetuata la speranza illusoria che la soluzione potesse venire da un ulteriore trasferimento di poteri in ambito locale.

Facciamo grazie al lettore di un riassunto, sia pure sommario, delle vicende e degli ultimi anni. Sarebbe un elenco di occasioni perse. Adesso, però, la crisi economica mostra che non si potrà passare al federalismo, salvo dissestare del tutto i conti pubblici, se non ci sarà una cura dimagrante nel settore pubblico e se non verranno assicurati maggiori poteri decisionali al governo centrale. Ahimè, come dice un proverbio inglese, i fatti sono testardi. Intraprendere la strada del governo di unità nazionale o del governone tecnico sarebbe una soluzione largamente imperfetta. Sicuramente serve coesione e concordia, ma resta sul tappeto il problema di fondo.

La richiesta di maggiori poteri per il presidente del consiglio non è una fisima di Berlusconi, ammalato di delirio di onnipotenza, ma solo una constatazione empirica. Il nodo delle riforme istituzionali resta sempre da sciogliere. Cerchiamo di non ripetere gli errori fatti in passato.