Christoph Schlingensief ha gettato un ponte fra Africa e Occidente

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Christoph Schlingensief ha gettato un ponte fra Africa e Occidente

27 Giugno 2010

Nel presentare Christoph Schlingensief, il regista che rappresenterà la Germania alla Biennale Arti Visive di Venezia 2011, la curatrice del padiglione tedesco, Susanne Gaensheimer, ha ricordato che "nei suoi film, nelle sue produzioni teatrali e nelle sue azioni artistiche ha sempre coinvolto il maggior numero possibile di media e, sempre in modo imprevedibile, ha cavalcato la linea che divide la realtà dalla finzione, fra lucidità, improvvisazione e provocazione".

Eclettismo, imprevedibilità e provocazione. Pare proprio non esserci scampo: senza questi elementi nessuna arte sembra potersi definire "contemporanea", cioè in relazione con il nostro tempo. Eppure la personalità e l’opera di Schlingensief (www.schlingensief.com) possiedono tratti che, per fortuna, trascendono le aride e spesso banali categorie create a proprio  uso e consumo dai critici d’arte. Ciò che di recente ha dato notorietà al regista è un progetto di teatro d’opera, una "Bayreuth d’argilla" chiamata Remdoogo da realizzare alla periferia del mondo, nel deserto del Burkina Faso. Con l’aiuto dell’architetto Francis Kéré e grazie al sostegno economico di privati, ma anche del Ministero degli Esteri tedesco, nel febbraio scorso è stato lo stesso Schlingensief a porre la prima pietra, nelle vicinanze della capitale Ouagadougou.

Convinto che non si tratti di un’idea neocoloniale, il regista ha fatto stilare a Kéré un progetto che prevede una scuola, un ambulatorio, alloggi per ospitare artisti, un teatro da 500 posti, piccoli cinema e impianti sportivi. Così che, attraverso le opere che vi saranno realizzate, la spiritualità africana possa fare scuola, soprattutto a noi occidentali, ormai senza più radici. Del resto, anche il progetto al quale Schlingensief ha lavorato nelle scorse settimane a Berlino (Via Intolleranza II, basato su Intolleranza 1960 di Luigi Nono) è legato all’iniziativa nel Burkina Faso, poiché coinvolge numerosi artisti africani. "L’Africa", ha precisato di recente il regista, "è il luogo nel quale ho appreso cosa sia la purezza spirituale e culturale in un modo che mai mi era capitato di vivere fino a quel momento".

Il cinquantenne Schlingensief, in realtà, è tutto fuorché un europeo "sradicato" e senza memoria. Tanto meno da quando, nel 2008, ha scoperto di aver un tumore particolarmente aggressivo allo stomaco. Da allora la sua vita è segnata dall’alterno scomparire e riapparire di metastasi, ma anche dall’emergere delle domande radicali, sulla vita, sulla morte, su Dio. Solidamente educato in una famiglia cattolica, per anni, da bambino, ha servito messa nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Oberhausen e nonostante le sue frequenti critiche all’istituzione, acuitesi con i casi di pedofilia emersi negli ultimi mesi, Schlingensief non ha alcuna intenzione di voltare le spalle alla Chiesa: "Al contrario di mia madre", ha dichiarato di recente alla "Süddeutsche Zeitung", "mi sto chiedendo se non sia il caso di prendere per un po’ le distanze dalla Chiesa, anche solo spiritualmente. Ma mi è difficile, anzitutto perché il silenzio che sperimento all’interno di una chiesa non lo trovo altrove, e poi perché ho conosciuto persone eccezionali, come suor Leonarda,  monsignor Geulen, o il cappellano Kuhn, che quando andavo a servire messa mi grattava la testa amichevolmente e mi raccontava bellissime storie, senza che in quei gesti vi fosse nulla di lascivo".

Proprio ora che Schlingensief sta combattendo la sua quotidiana lotta con il male fisico e con il dolore (doveva partecipare alle giornate ecumeniche di Monaco di metà maggio, ma la malattia glielo ha impedito) le sue domande alla Chiesa si sono fatte essenziali: "In sostanza", ha detto ancora alla "Süddeutsche Zeitung", "ho la percezione che la Chiesa non mi comunichi gioia. Mi pare che sia quella cattolica, come anche quella protestante, si siano abbandonate ad un canto del cigno che alla fine ha il tono di un piagnisteo. Le chiese hanno trasformato la responsabilità della libertà in una profonda depressione". Oggi Schlingensief ringrazia Cristo per il tumore che invade il suo corpo e senza esitazione chiede una sola cosa: vivere. Basta questo, più che ogni altra sua possibile "provocazione" per attendere curiosi la sua opera a Venezia, l’anno prossimo.