Ci manca pure che ringraziamo ISIS

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Ci manca pure che ringraziamo ISIS

27 Dicembre 2015

Certi media vecchi e nuovi devono aver preso un po’ troppo alla lettera l’adagio "a Natale siamo tutti più buoni". Qualcuno infatti ha scambiato la liberazione di pochi ostaggi di fede cristiana per un gesto di ‘buona volontà’ dell’ISIS. Poiché è assodato che i terroristi metterebbero volentieri una bella bomba a San Pietro, occorre quindi ricordare perché i tagliagole hanno “liberato” i cristiani. Non per una improvvisa sindrome di stoccolma, mossi a misericordia, carità e pietà cristiane, bensì perché dovevano incassare il riscatto, come hanno già fatto qualche settimana fa con altri prigionieri.

 

Certi media forse ignorano il senso delle tante chiese (spesso anche ospedali) dedicate a Santa Maria della Mercede nei Paesi cattolici, giacché quella parola, “mercede”, vuol dire appunto riscatto, quello che i cristiani dovevano pagare a musulmani e pirati saraceni per riavere indietro i loro malcapitati compagni e familiari, pena ritrovarseli decapitati. I padri mercedari appartengono a un ordine mendicante (fondato in Spagna intorno al  milleduecento) il cui scopo era appunto raccogliere i fondi per liberare i cristiani tratti in schiavitù dai musulmani, con un’opzione in più: quella di sostituire se stessi ai prigionieri, pur di liberarli. Stesso film a distanza di secoli.

 

Ma la cosa veramente straordinaria è che nel giorno in cui si legge della “liberazione" scopriamo cose straordinariamente compassionevoli sul conto dei “liberatori”. La Reuters ha dato notizia di un fascicolo di fatwa, editti religiosi del Califfo, ritrovato dalle forze speciali statunitensi in Siria. Si apprende che:

 

–    il traffico di organi di apostati e infedeli è pratica autorizzata;

–    il cannibalismo ai danni dei suddetti è consigliato in casi estremi di sopravvivenza;

–    lo stupro di donne fatte schiave in precedenza va regolamentato.

 

Pratiche che possono sorprendere solo chi crede alla buona volontà dei terroristi, agli happy-end come sfondo impossibile per un macabro film dell’orrore com’è quello dell’Isis. Le cose stanno in modo ben diverso. Il giorno di Natale Papa Francesco ha ricordato ancora una volta cosa accade in Medio Oriente, le “atrocità” che “mietono numerose vittime, causano immani sofferenze e non risparmiano neppure il patrimonio storico e culturale di interi popoli”. Il Papa ha parlato della “persecuzione dei cristiani” che avviene in tanti parti del mondo “a causa della loro fede”. I “martiri di oggi”, secondo Francesco. Come la decina di cattolici ammazzati dagli islamisti nelle Filippine a Natale.

 

L’Arcivescovo di Canterbury, il numero uno della fede anglicana, sempre ieri ha usato la parola “apocalisse” per definire la condizione della cristianità nelle terre sotto il controllo dello Stato Islamico. L’Arcivescovo ha messo in guardia dalla “eliminazione” della fede cristiana proprio là dove nacque duemila anni fa e se pensate che esageri sappiate che nel Califfato (e aree limitrofe) la presenza di cristiani e yazidi si è ridotta da duecentomila a quindicimila persone.

 

Secondo l’Arcivescovo, Isis è l’Erode di oggi, il dispotico Re di Giudea ai tempi della nascita di Gesù. “Per tutti quelli che sono stati o vengono disumanizzati dalla tirannia e dalla crudeltà di Erode o dell’Isis, l’Erode di oggi,” ha detto l’Arcivescovo, “il giudizio di Dio viene come una buona novella, perché promette giustizia”. Anche il rabbino Ephraim Mirvis è sulla stessa lunghezza d’onda. Il giorno di Natale ha chiesto a tutte le fedi di unirsi davanti agli attacchi contro la libertà di culto, sottolineando come “la persecuzione dei cristiani prosegue in centinaia di Paesi e sia più dannosa rispetto a quelle subite da qualsiasi altra religione”. Mirvis ha citato il Brunei, sultanato (sic) che ha bannato il Natale.

 

Insomma certi media farebbero meglio a darci le notizie in modo più attento e pertinente, ecco tutto, evitando pericolosi fraintendimenti. Oltre alle "liberazioni" raccontino meglio come sta andando la guerra al terrore, che l’esercito iracheno sta lentamente riconquistando Ramadi, che forse le forze di terra appoggiate dalla coalizione a guida americana potranno rialzare la bandiera della libertà, pure se al minimo sindacale, nella regione dell’Anbar. Chi ha memoria di un’altra liberazione, quella dell’Iraq, guai a chiamarla così!, sa cosa vuol dire riprendersi quel pezzo di Iraq un tempo palude per Al Qaeda. Bisogna liberare tutti coloro che vivono sotto il giogo dell’Isis, perché, parafrasando l’arcivescovo, “Dio promette giustizia”.