Ci scrive Della Vedova per dire che Fini e Obama non sono così lontani

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Ci scrive Della Vedova per dire che Fini e Obama non sono così lontani

21 Maggio 2009

Caro Direttore, tra le tante accuse che dall’interno del Pdl vengono mosse al Presidente della Camera la più insidiosa è probabilmente quella di sabotare il tentativo di costruire l’identità nazionale e popolare del nuovo partito del centro-destra, per sostituire ad essa – a partire dai temi bio-etici –  quella di una sinistra orfana della propria egemonia culturale, ma ancora padrona delle leve mediatiche e simboliche del “politicamente corretto”.

Il presunto laicismo di Fini, la sua riluttanza a circoscrivere l’identità del partito e del Paese entro il perimetro dei valori cristiani, la sua stessa didascalica insistenza sull’autonomia della politica e delle istituzioni, rappresenterebbero, agli occhi dei suoi critici, la prova regina di questa “sindrome di Stoccolma” che avrebbe portato il leader che viene da una storia clerico-fascista ad abbracciare un’identità vetero-laicista.

Il tuo giornale, che del Presidente della Camera è divenuto tra i critici più severi, ha contrapposto al freddo laicismo di Fini la sensibilità del presidente Obama, che nel suo intervento all’Università Cattolica di Notre Dame non ha né rinnegato né disdegnato l’apporto che l’ispirazione e la presenza cristiana, negli Stati Uniti, assicura all’unità e alla forza del Paese.

Insomma, Fini non sarebbe solo uscito dalla destra per finire a sinistra, ma, nell’ansia di scavalcare lo steccato, sarebbe anche finito nella sinistra sbagliata, ancora prigioniera dei pregiudizi otto-novecenteschi. Mi permetto di dirti che questa comodissima rappresentazione delle cose non rende giustizia né a Fini, né a Obama.

Non è più onestamente possibile continuare a confondere il riconoscimento del cosiddetto ruolo pubblico della religione, cioè della libertà di iniziativa civile, sociale e culturale di cui la Chiesa (e le Chiese) dispongono come organizzazioni secolari, con l’ancoraggio delle scelte politiche ai valori della tradizione cristiana “mediati” dal magistero ecclesiastico. Non sono la stessa cosa. Sono cose esattamente contrarie. Sostenere che l’antropologia cristiana (come in genere lo spirito religioso) sia un deposito inesauribile di vitalità e di fantasia morale, di impegno sociale, di carità e di sollecitudine umana, non significa che la morale cristiana, nella sua esposizione razionale, possa divenire una sorta di prontuario legislativo. Sostenere che la libertà di “annuncio” e la possibilità di azione della Chiesa coincide con la libertà della società e la costituisce, alla pari di quella delle istituzioni sociali e morali impegnate a promuovere le ragioni del proprio impegno, non significa che il cristianesimo è o costituisce l’identità dello Stato.

A chiarire questa distinzione, è lo stesso intervento di Obama a Notre Dame (se vogliamo proprio eleggerlo a paradigma del “religiosamente corretto”): i valori, le opinioni e le credenze morali su aborto e cellule staminali sono riconosciute, onestamente, “inconciliabili” e alla politica non è richiesto di scegliere o di mediare tra queste posizioni, ma di fare in modo che persone diverse, con convinzioni diverse, possano cooperare e comprendersi all’interno di una società che conserva per questo un’unità civile, senza mostrare una vera unità morale. Alla “cooperazione” e alla “comprensione”, come virtù culturalmente cristiane, e a questo “modus vivendi” ispirato al rispetto “per coloro che, pur stando dall’altra parte, hanno convinzioni altrettanto solide” deve essere ispirata per Obama la ricerca di un compromesso sui capitoli più delicati del dossier bio-politico, quelli che riguardano la vita nascente.

E’ evidente che Obama sull’aborto, come sulle cellule staminali, riconosce (cioè rispetta) le ragioni dei credenti che difendono la “sacralità della vita”. Ma non per questo ritiene che possano diventare la ragione normativa ispiratrice delle scelte del legislatore. Non perché siano disprezzabili, non perché non abbiano una giustificazione o una discutibilità razionale, ma proprio perché, riflettendo una libera scelta morale, comportano un’adesione personale e non possono essere tradotte in norme giuridicamente obbliganti.

La fiera e orgogliosa militanza cristiana a cui Obama chiama gli studenti dell’Università Cattolica dell’Indiana (“abbiate fiducia dei valori in cui siete stati cresciuti ed educati”) è un invito a “continuare il dibattito morale e spirituale che per molti di voi è iniziato all’interno delle mura di Notre Dame”. Appunto: la sfida competitiva “su cosa è giusto e che cosa è vero” si fa nella società, non nella legislazione, si fa persuadendo e conquistando i propri interlocutori alla grazia della fede o alla forza delle ragioni di cui ci si sente portatori, non procedendo a rettificare, per via politica, le condotte che si ritengono moralmente riprovevoli.

Non mi pare, poi, che nei fatti Obama abbia alcuna intenzione di moralizzare in senso “cristiano” (né, fortunatamente, in altro senso) il diritto statunitense. Né che intenda ispirarsi alle ricette che nel nostro paese e nel centro-destra in particolare vanno per la maggiore.

Sull’aborto non mi pare vi sia l’intenzione da parte della nuova amministrazione statunitense di sconfessare l’orientamento assunto in sede internazionale a favore del finanziamento delle ong pro choice ribaltando le politiche di Bush.

Sul testamento biologico, non mi pare che intenda brandire la spada della legislazione federale o che voglia, all’italiana, decretare, con il voto del Congresso, che l’idratazione artificiale non è un trattamento sanitario, perché “democraticamente” così si è deciso.

Sulla ricerca scientifica non mi pare che intenda sconfessare, a meno di tre mesi di distanza, la revoca del bando ai finanziamenti federali per la ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Sulle “unioni gay”, non mi pare che voglia arginare la tendenza a riconoscere le convivenze o, addirittura, le famiglie omosessuali, che si va imponendo per via legislativa o giudiziaria in numerosi Stati americani.

Insomma, (al netto dello stile, delle citazioni scritturali e della fede personale) dal punto di vista politico dove sta quest’abisso tra il “laicismo” di Fini e la religiosità obamiana? E ancora – ma questo è un altro discorso, ancora più importante per me – che differenza c’è tra le posizioni di Fini e dei leader dei maggiori partiti del PPE, la cui laicità nel Pdl non piace e quindi, per lo più, si tace, come se la bio-politica cessasse di importare appena passati oltre confine?. 

www.benedettodellavedova.com

 

Caro On. Della Vedova, nessuna difficoltà a darti una buona dose di ragioni, anche se tengo per me la parte prevalente. La tua esposizione infatti chiarisce molta dell’ambiguità contenuta nella breve frase del presidente della Camera – “Il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso” –  che diede spunto al mio precedente commento. Sostenevo infatti che poiché il Parlamento altro non è che i suoi componenti (Ecclesia sunt fideles, diceva Occam), è difficile intervenire sull’ "orientamento" dei legislatori. Ognuno infatti è libero di orientarsi come preferisce e pretendere che venga ignorato e messo da parte proprio l’orientamento religioso mi parve molto poco laico.

Giancarlo Loquenzi