Ci voleva Yuri Gagarin per far risvegliare “l’orso russo”

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Ci voleva Yuri Gagarin per far risvegliare “l’orso russo”

19 Aprile 2011

Sembrerà una maledizione, o forse un incantesimo, ma nella storia russa gli anni che terminano con il numero “1” sono stati sempre molto ricchi di significati simbolici, specchi fedeli degli avvenimenti storici che erano successi; questo almeno è quello che è avvenuto nel corso del XX secolo. Gli anni “marcati” dal numero “1” nel ‘900 sono stati quelli che hanno contrassegnato la Rivolta di Kronstadt (1921), l’inizio dell’Operazione Barbarossa – o, in chiave sovietica, della “Grande Guerra Patriottica” – (1941), il lancio di Yuri Gagarin (1961) ed infine la dissoluzione dell’Urss, nel 1991. In particolare il ricordo del giovane cosmonauta, opportunamente “veicolato” dalla stampa ufficiale, è diventato in questi giorni una occasione interessante sia sotto il profilo storico che sotto quello più (geo)politico.

In altri termini la celebrazione dell’avvenimento, di per sé più legato allo sviluppo delle tecnologie connesse allo spazio, diviene oggi anche un utile elemento per dare voce ad una sorta di “revisionismo” riguardo alla storia dell’Urss. Ecco che quindi si sono sprecati articoli, ricordi e celebrazioni degli “anni d’oro” della cosmonautica sovietica, dei missili che agitavano i sonni americani, di quegli uomini eroici e forse un po’ sconsiderati che sfidarono lo spazio con vettori pionieristici, e in generale della superiorità dell’Urss che in quegli anni sognava di “sopravanzare” gli Stati Uniti in una ventina di anni.  

I popoli – soprattutto quelli che escono da dittature lunghe e opprimenti – hanno sempre alcuni problemi a fare i conti con il loro passato. Basti pensare al caso italiano, che non ha ancora “digerito” appieno il periodo del fascismo ed i suoi strascichi. Ben più complesso è il caso russo, nel quale l’eredità sovietica è ancora molto presente nel dibattito politico. Ammiratori e detrattori di questa epoca continuano a rinfacciarsi le proprie posizioni alimentando un confronto che non accenna a finire. Ma in questo 2011 la prospettiva è cambiata rispetto ad alcuni anni fa.

Per prima cosa la Russia del 2011 è cambiata. Il grande paese asiatico a cavallo degli anni 2000 era segnato da grandi difficoltà, a partire dalla transizione politica che fece assurgere Vladimir Putin ai vertici del potere. La crisi economica e alcuni problemi militari (affondamento del Kursk, Cecenia), uniti alla maggior presenza ed attività statunitense  in Afghanistan e nei paesi limitrofi facevano trasparire un’immagine di un paese ormai decadente, debole, remissivo, vittima del suo tempo e sostanzialmente nostalgico sognatore di un’era che fu.

Questa, per l’appunto, poteva essere la Russia dei primi anni 2000. Ma la situazione oggi è molto cambiata: una decina di anni di “putinismo” (associati al delfino Medvedev, naturalmente), la crisi dell’unipolarismo americano, il crescente ruolo delle risorse energetiche, il veloce blitzkrieg in Georgia (2008) e la sempre più citata “ascesa dei BRIC” stanno facendo respirare un’aria diversa a Mosca. Sicuramente la Russia oggi è un paese che, nonostante molte difficoltà, ha una “tenuta di strada” nettamente superiore a quella di qualche anno fa, a partire da una guida politica chiaramente più decisionista e determinata.

E proprio da questa leadership più forte è partita un’operazione culturale lenta e sottile, ma chiaramente leggibile fra le righe dei discorsi ufficiali: la riconsiderazione – in chiave positiva – del periodo sovietico. Il “mito” dell’Urss, dopo anni di denigrazione, oggi sembra più “digeribile” alla popolazione russa, e quindi molto più “vendibile” politicamente. Per questo “eroi” come Yuri Gagarin o il ricordo della Seconda guerra mondiale possono tornare molto utili all’establishment dirigente: sono fatti, persone o avvenimenti che hanno sostanzialmente unito il paese, lo hanno reso più compatto. Russi, kazaki, uzbechi, ucraini, bielorussi e tutti gli altri popoli erano uniti contro il nemico tedesco così come erano stretti e trepidanti vedendo le immagini della cagnetta “Laika” o di Gagarin nello spazio.

“Rispolverare” vicende unificanti come queste serve a “vendere” l’immagine di una Unione Sovietica più giusta e compatta, ben diversa dai problemi etnici che spesso agitano le vite politiche dei numerosi stati post-sovietici. Riabilitare anche figure come Stalin (cosa che ha sostenuto lo stesso Putin) è un segnale di recupero dei “bei tempi andati” che può convenire molto alle élite politiche a Mosca: d’altro canto cercare nobili natali – più o meno veri – è prassi di qualsiasi istituzione politica sin dai tempi più antichi. Emblematico di questo “revisionismo” filosovietico è poi una rubrica tenuta dall’agenzia russa RIA Novosti, dedicata alla fine dell’Urss e contrassegnata da articoli che sono accomunati da un retrogusto nostalgico, leggero e costante.

In quest’ottica è chiaro che “sottolineare” momenti unificanti per la storia delle vecchie repubbliche sovietiche (a guida russa, è ovvio) non è una mera operazione storica o un’apologia, ma risponde a un disegno – più nebuloso, ma non per questo vago – di “ripresa di potenza” di Mosca, perfettamente impersonificato dall’attuale duo al potere e, perché no, utile magari per le prossime elezioni del 2012. La ripresa della politica russa passa quindi anche per miti e simboli che la storia sembrava aver accantonato nei suoi angoli.