Cinque filosofi si confrontano con la lezione di Benedetto
21 Luglio 2007
“Dio salvi la ragione”, uscito in
questi giorni per le edizioni Cantagalli, è una nuova tappa di un percorso
cominciato il 12 settembre 2006 a Regensburg. Nell’università di quella città
il papa Benedetto XVI aveva pronunciato un Lectio
magistralis che aveva fatto esplodere il mondo musulmano. Manifestazioni,
minacce, assalti e devastazioni, morti. I Nunzi nei paesi islamici tempestavano
la Segreteria di Stato di telefonate allarmate. La Curia romana accorreva a
precisare il pensiero del papa ed egli stesso disse di essere stato frainteso.
Non di aver sbagliato qualcosa: di essere stato frainteso. Intanto le parole
dette a Regensburg erano là, e sarebbero rimaste come un punto di riferimento
ineludibile per chiunque voglia trattare di ragione e fede e di rapporto tra le
religioni.
Le edizioni Cantagalli avevano
pubblicato tutti i testi dei discorsi del Papa a Regensburg con il titolo “Chi
crede non è mai solo” ed ora escono con una nuova tappa del percorso affidata
ai commenti di cinque eminenti autori: il filosofo cattolico Robert Spaemann,
il filosofo e sociologo Andrè Glusksmann, gli intellettuali arabi Wael Farouq e
Sari Nusseibeh, e quello ebreo Joseph Weiler. A Regensburg è cominciato un
percorso di chiarimento sull’identità del cristianesimo come verità oltre che
carità, sul rapporto tra le religioni visto non nell’indifferenza, sul ruolo
pubblico delle fedi religiose contro la laicità della nautralità e sul rapporto
tra fede e ragione che, diceva il papa, non è uguale in tutte le confessioni.
Chi propone un Dio irrazionale ed arbitrario non può essere messo sullo stesso
piano di chi parla di Dio come “Ragione primordiale”; chi predica la violenza
non può essere equiparato a chi predica la verità e l’amore. Non solo e tanto
per motivi di fede, ma di ragione: “non agire secondo ragione è contrario alla
natura di Dio”. Questa frase presa a prestito nella Lectio di Regensburg dall’imperatore bizantino Manuele II Paleologo
fa la differenza tra le religioni. Tale differenza consiste propriamente in
questo: nell’accettare di essere esaminate dalla ragione, nel momento stesso in
cui pretendono di essere vere e cioè di poter recare esse stesse un aiuto alla
ragione. Il tema della verità delle religioni ha quindi due versanti che
rispondono a due domande complementari: la mia fede è compatibile con le
esigenze della ragione? Essa stessa è in grado di aiutare la ragione ad essere
più pienamente se stessa?
La filosofia moderna dice che
l’uomo non può conoscere oltre se stesso. Ma come fa a dirlo senza andare oltre
se stessa? Spaemann pone il problema dei problemi, da cui nasce una
collaborazione nativa tra ragione e fede. Heinrich von Kleist, allievo di Kant
che appunto negava la possibilità di conoscere oltre se stessi, si è ucciso. Se
questa possibilità non c’è, se Dio non c’è, non ci può essere nessun “mondo
vero”. La verità del mondo dipende dalla verità di Dio e la conoscenza di Dio
ha bisogno di partire dalla verità del mondo. Come dire che ragione e fede
stanno in piedi insieme.
Si dice che se non c’è un mondo
vero si è più liberi. Ma Joseph Weiler ci ricorda che la libertà la si può
veramente sperimentare fino in fondo nella possibilità di dire no a Dio. La
libertà di religione è la principale tra le libertà, secondo lui, proprio
perché contempla la libertà di dire no. Le religioni sono i fondamenti di
questa libertà ed anche i non credenti dovrebbero salvaguardare questo
patrimonio a garanzia della libertà.
Ma siamo sicuri che essere
razionali significa sempre essere non violenti? Secondo Sari Nusseibeh anche
chi ha compiuto la strage dell’11 settembre ha agito razionalmente. Per lui la
razionalità è solo un metodo logico di procedere, mentre alla ragionevolezza
spetta di misurarsi con la realtà e le decisioni da prendere. La
ragionevolezza, egli dice, permette la vita delle religioni in un contesto
pluralistico. Riuscirà l’Islam ad essere ragionevole oppure la violenza gli è
intrinseca? Spetta alle comunità musulmane dare questa risposta nei loro
comportamenti.
Come si vede, sul concetto di
ragione ci sono delle diversità notevoli. Le fedi religiose hanno una diversa
“capacità” razionale. Glucksmann e Spaemann, da filosofi, centrano bene il
problema dell’arroganza della ragione occidentale. Essa ha avuto la pretesa di
essere assoluta e di produrre tutto da sola. Così facendo ha dovuto autoridurre
progressivamente il proprio spazio di indagine al fine di poterlo dominare
completamente, fino al punto da ridursi a nulla. Il razionalismo si converte
sempre nel nichilismo. Con questo tipo di ragione la fede religiosa non ha
nessuna possibilità di dialogo. Ma non tutti i cinque Autori condividono questa
visione della ragione, la quale secondo, Wael Farouq, deve sempre fare i conti
anche con la tradizione. E’ però abbastanza chiaro per tutti il dato di fondo espresso dal titolo: non
sarà la ragione a salvare se stessa, ma la sua apertura ad un oltre. Essa è
però nello stesso tempo in grado di valutare questo oltre dal punto di vista
razionale. Non tutte le religioni, quindi, sono ugualmente in grado di salvare
la ragione. Il confronto è aperto. L’importante è che avvenga con argomenti
razionali.