Civismo capacità strategica per un Paese fermo

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Civismo capacità strategica per un Paese fermo

26 Dicembre 2015

L’Italia del dopoguerra è stata, di fatto, l’unica democrazia occidentale letteralmente bloccata.

 

Nei giorni scorsi alla Camera è stato ricordato Armando Cossutta, scomparso recentissimamente e uomo politico di punta del PCI e della sinistra italiana, legatissimo a quell’Unione Sovietica che con il Patto di Varsavia rappresentava il contraltare ed avversario storico del mondo occidentale.

 

Muro di Berlino, Guerra Fredda, democrazie popolari, realtà che rievocano un mondo che dalla fine degli anni Ottanta si è dissolto progressivamente, trascinando con sé anche la singolare impalcatura politica italiana. Scompaiono i partiti storici della Prima repubblica, si avvia un processo di bipolarizzazione della vita politica nazionale e la gran parte dei poteri che in concreto avevano regolato la strana democrazia italiana, acquisendo importanti rendite di posizione, trovano nella miracolata sinistra, passata più o meno indenne dal ciclone Tangentopoli, un comodo e conosciuto rifugio.

 

Berlusconi è in quegli anni il fenomeno capace di sovvertire pronostici politici che sembravano già scritti, riuscendo nella difficile sintesi di catalizzare intorno alla sua figura spezzoni del vecchio pentapartito, post-fascisti e Lega. Una operazione politica che porterà alle alternanze di governo, alla caratterizzazione della Seconda repubblica come referendum continuativo pro o contro Berlusconi, al sempre maggiore spazio ed utilizzo della sottocultura dell’antipolitica, all’intervento sempre più massiccio e pervasivo della magistratura nella vita politica del Paese.

 

Venti anni di polemiche, complotti veri e presunti e lotta politica che ci portano ad un oggi nel quale dobbiamo constatare, a latere di sconvolgimenti politici, sociali ed economici, altrettanto significativi come l’allora dissoluzione dell’URSS, il sostanziale fallimento del tentativo di modernizzazione del sistema Italia. Qualche piccola riforma, alcuni cambiamenti discutibili, ma, nella sostanza, il nostro rimane un Paese immobile, sempre più preda di un’antipolitica alimentata da una politica imbarazzante nella sua pochezza e da chi ha interesse ad alimentare caos e processi destabilizzativi e da quelle culture pseudo-ambientaliste, vetero-comuniste, pauperiste, sindacal-conflittuali e localiste che fanno dell’Italia uno strano mix, apparentemente progressista ma, in concreto, fermo e incapace di colmare i suoi gap strategici e di dare prospettiva alle proprie vocazioni di sistema.

 

In questo contesto di forti mutamenti internazionali e di crisi e dissolvimenti politici a livello nazionale va inserito il necessario forte ripensamento di uno schieramento politico con vocazione innovatrice e modernizzatrice. Pensare di poter prescindere, nell’epoca della globalizzazione, dalle dinamiche internazionali, dall’importanza dell’Europa, dall’assurgere a protagonisti degli "Stati continente" e del marcato ripensamento che ha subito la politica estera statunitense, significa non avere coscienza dei tempi e permanere in quel provincialismo che ha rappresentato uno dei principali gap italiani.

 

A fronte di un mondo che corre e muta rapidamente pelle il nostro intero sistema politico, al di là delle apparenze, è in forte crisi. A sinistra, Renzi, con il suo protagonismo, copre a stento un partito che oscilla tra un pragmatismo superficiale e il classico inconcludente progressismo della sinistra con sullo sfondo un regolamento di conti oramai ineludibile e che vedrà nelle prossime amministrative il primo determinante incrociare di lame. A destra, la dissolvenza del berlusconismo sta favorendo il ritorno di tutta una serie di protagonisti, o presunti tali, o alle loro culture politiche originarie o ad una marginalità senza prospettive.

 

Nel contempo, il fenomeno pentastellato, unico soggetto politico apparentemente in salute, sta giungendo al suo showdown. Infatti, una sconfitta, in condizioni oltremodo favorevoli, ne determinerebbe il lento sfarinamento elettorale per inutilità manifesta e, viceversa, un successo di peso, visibile ed intellegibile, renderebbe giustizia di inadeguatezze occultate da uno stare all’opposizione nel quale il movimento si è distinto per sostenere tutto ed il contrario di tutto, nella totale assenza di una reale e coerente linea politica. Uno scenario che, al di là dei destini dei partiti e dei protagonisti di questa non brillante stagione politica, rischia di affossare definitivamente la nazione.

 

Da dove ripartire? Innanzitutto, rimanendo all’area politica che sentiamo a noi più prossima, è a dir poco imbarazzante che dopo le elezioni del 2013 e la presa d’atto dell’evaporazione di una parte consistente di quel consenso che aveva determinato il successo del 2008 non ci sia stata nessuna analisi politica conseguenziale. Nessuna riflessione su una realtà-mondo profondamente cambiata rispetto al lontano 1994. Nessuna capacità di comprendere fino in fondo, anche sulla scorta dell’esperienza della Prima repubblica, di come e quanto gli scenari internazionali possano essere impattanti e di cosa realmente significhi esistere in un contesto globale e quindi la necessità di cercare e tradurre in azione politica nuovi paradigmi interpretativi della realtà.

 

Fare politica non è semplicemente, nella migliore delle ipotesi, ascoltare i desiderata delle persone. Proporre politica è cosa ben diversa dall’assorbire, senza considerare la complessità in cui si opera, tutto quanto emerge dal territorio, dalle categorie, dalle associazioni. E nel nostro Paese, continuamente preda di emergenze vere ed immaginarie, latita da troppo tempo la capacità strategica, in tutti gli ambiti, in tutti i settori. Serve, insomma, la volontà di riaccendere una serie di riflessioni in un contesto aperto, capace di interagire a 360 gradi tra chi crede che non può esistere proposizione politica seria senza idee, capacità di analisi serie, di confronto, specie in un contesto che propone problemi e sfide assolutamente nuove.

 

Stiamo oramai passando, dalla politica ai temi etico-religiosi e, addirittura, biologici, in un’epoca nella quale anche quanto di identitario e più profondo e, se vogliamo, più ancestrale viene oramai messo in discussione, inducendo mutamenti, sul medio lungo termine, oggi non facilmente immaginabili. Poi esiste la quotidianità, i problemi con i quali i cittadini ogni giorno si confrontano, i servizi, la burocrazia, l’efficienza di enti ed istituzioni locali. In questi ambiti, purtroppo, spesso la politica tradizionale ha dato il peggio di sé. Clientelismo feroce, progettualità senza senso, sprechi, corruzione, localismi di bassissimo profilo.

 

Un nodo gordiano che va in qualche modo reciso anche attraverso la rottura di una dialettica divenuta o sterile contrapposizione o consociativismo spartitorio, avendo cancellato il confronto delle idee. In questo contesto la ripresa di un sano civismo non può che rappresentare una iniezione di nuova linfa rispetto ad una politica asfittica, sterile e con un rapporto patologico con il territorio. E’ da questi due approcci complementari, sulle alte e le basse frequenze, che può avviarsi un processo virtuoso di ri-legittimazione della politica, uscendo dalle opache logiche di Palazzo e dall’illusoria aritmetica elettorale.