Claire e Yussef, una coppia diabolica che uccise ma non pagò mai

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Claire e Yussef, una coppia diabolica che uccise ma non pagò mai

18 Agosto 2010

Un uomo ricchissimo, un arabo giovane e bello come un attore del cinema. Freddato nel suo studio di via Lazio, dietro la scintillante via Veneto  degli anni ’60 (ricordate il caso Wanninger?).

Un cadavere non solo crivellato di colpi, ma anche sfregiato dal vetriolo, come nei romanzi d’appendice dell’800.

E’ il 1964 quando i cronisti romani si trovano alle prese con uno dei generi più torbidi della "nera": l’omicidio commesso da una coppia diabolica. E in questo caso l’aggettivo è quanto mai appropriato, visto che i responsabili sfuggirono alla condanna conducendo una vita comoda e fastosa. Questa storia ha inizio il 18 gennaio del 1964 in via Lazio, per l’appunto. E’ qui che Farouk Chourbagi, "italianizzato" dai giornalisti in Faruk Churbagi, ha il suo ufficio.

L’uomo è in affari, ha una società di compravendita, la Tricotex, commercia immense partite di lana e ha altre tre o quattro imprese che vanno a gonfie vele. E’ un lunedì mattina, la sua segretaria apre lo studio, appoggia la borsa sulla scrivania dell’anticamera ed entra nell’ufficio del suo datore di lavoro. Lo trova riverso in terra, morto, "in un lago di sangue" come si dice in questi casi. Ha un foro di proiettile alla tempia destra. La ragazza urla, le grida attirano i dirimpettati, pochi minuti dopo la scena del crimine è affollata di poliziotti e degli immancabili cronisti. Il medico legale gira il corpo, sulla schiena conta sei ferite da arma da fuoco, sono colpi sparati a bruciapelo. E poi c’è il volto del bel Faruk sfigurato dall’acido solforico.

La polizia si mette subito in moto, la segretaria racconta che venerdì il dottor Churbagi aveva ricevuto una telefonata da una sua amica, la signora Claire. Doveva essere stata una conversazione sgradevole. La ragazza sostiene che il suo padrone era impallidito, aveva balbettato dei monosillabi, poi aveva concluso, come a confermare le parole dall’altro capo del filo: "Va bene, ci vediamo nel mio ufficio sabato pomeriggio". E in effetti l’ultima volta che Faruk è stato visto vivo era quel sabato.

Il fatto che fosse scomparso per più di un giorno non aveva preoccupato nessuno, nemmeno lo zio del morto, egiziano come lui e come lui milionario ed inserito a Roma nel mondo che conta.

In effetti Faruk Churbagi era un uomo fuori dal comune, oltre alla ricchezza, alla bellezza e al successo, aveva altre frecce al suo arco: laureato a Oxford, era figlio di un ex ministro del Tesoro egiziano, quando al Cairo vigeva ancora la monarchia. Un membro di quell’altissima aristocrazia borghese che a 27 anni poteva permettersi il lusso di dedicarsi esclusivamente ai piaceri della vita, primo tra tutti l’arte della seduzione. Farouk aveva molte amanti, tutte (perdonate il termine) col pedigree delle nobildonne o delle rampolle di famiglie più che bene.

Una di queste si chiama Gabrielle, Claire per gli amici, sposata con Youssef Bebawi, uomo d’affa ri facoltoso come la vittima e come la vittima egiziano. Anche Claire è originaria della "terra dei faraoni" (più di un cronista abusò di questa espressione nel raccontare la vicenda). Figlia di un importante ingegnere del canale di Suez e di una donna olandese, conobbe il marito quando aveva 13 anni, lo sposò giovanissima e gli diede tre figli. Faruk era il suo amante, l’unico, mentre il bell’egiziano di amori ne aveva molti.

Gli investigatori insomma, sanno su chi puntare, hanno saputo tutti questi dettagli grazie ad amici e soci del morto. Uno di questi tra l’altro abita in via Emilia, nello stesso stabile dove meno di un anno prima è stata uccisa Christa Wanninger, una coincidenza che solletica la fantasia di molti giornalisti alla ricerca di un nesso tra i due omicidi. La polizia a poche ore dal delitto scopre anche che Claire e il marito hanno preso alloggio a due passi da via Lazio, alla pensione la residenza. Il portiere conferma: sono arrivati alle 17, sono usciti poco dopo e sono rientrati alle 18:30, entrambi con un espressione assorta, cupa.

Bene, ma ora dove sono finiti? Al portinaio risulta che dopo un’altra manciata di minuti hanno lasciato la pensione, diretti alla stazione Termini. Gli investigatori scoprono che i coniugi hanno preso un treno per Napoli alle 19:20, e che da lì ne hanno preso un altro per Brindisi, dove si sono imbarcati col primo volo disponibile per Atene. Una fuga in piena regola, la prova principlae che i due in questo omicidio ci sono dentro fino al collo. Si mobilita l’Inerpol, che li rintraccia nella capitale ellenica.

Non solo: la polizia viene a sapere che marito e moglie hanno già acquistato due biglietti aerei per il Libano, ma li blocca prima. Ad Atene accorrono gli uomini della squadra mobile romana, accompagnati (oggi sarebbe impensabile) da uno stuolo di giornalisti, che assistono in diretta all’estradizione e possono rivolgere le loro domande ai due presunti colpevoli.

Il signor Bebawi, Yussef, appare mite, intimorito dal clamore. Claire si mostra subito spavalda. Al cronista che le domanda a bruciapelo se sia o no l’amante dell’ucciso, replica con un sorriso glaciale: "Fatti miei". La coppia è nelle mani degli investigatori, ma nel corso degli interrogatori le posizioni si ribaltano. E’ la polizia ad essere in balìa dei due coniugi. Nessuno dei due nega il delitto, ma l’uno accusa l’altra, fornendo dettagli e ricostruzioni parimenti plausibili e gettando gli inquirenti nella confusione. L’accusa, trattandosi di due ricchi e importanti personaggi, intende evitare abusi e approssimazioni. E in questa situazione la stampa si scatena mentre i lettori consumano avidamente le ricostruzioni fornite di volta in volta dal signore e dalla signora Bebawi.

Lei in sostanza sotiene che con Faruk voleva arrivare a un chiarimento, che lo aveva amato e aveva sofferto per la leggerezza di lui. Ma che era decisa a voltare pagina per amore della famiglia e dei suoi tre figli. Il marito, da vero cavaliere, si era offerto di accompagnarla per sostenerla in quel momento difficile. Lei, grata per questo gesto immensamente comprensivo, gli aveva chiesto però di attendere fuori dall’ufficio. Ma Yussef era entrato lo stesso e all’improvviso aveva ricoperto di insulti Faruk, il quale aveva reagito alle offese con i pugni. I due si erano avvinghiati in un furioso corpo a corpo fino a quando il consorte ha estratto la sua pistola 7,65, regolarmente denunciata, per svuotare l’intero caricatore contro il rivale in amore. Infine, come atto finale, gli aveva gettato in faccia il vetriolo. L’arma era poi stata gettata in mare durante la sosta a Napoli, e la boccetta di acido svuotata nel bagno del treno diretto a Brindisi. Questa la versione di Claire, smentita però dal mite Yussef.

Il quale, Yussef, conferma solo la primissima parte di questo racconto, fino all’arrivo nei pressi dell’ufficio della vittima. Qui la signora aveva chiesto al marito di non salire, e l’uomo difatti era rimasto a bighellonare in via Lazio, riconosciuto in seguito anche da alcuni testimoni. La moglie era poi scesa in strada, sconvolta, confessandogli di aver appena ucciso l’amante fedifrago e di avergli gettato in faccia il vetriolo. Lui, sempre per amore dei figli e della famiglia, aveva deciso di aiutare la moglie a disfarsi della pistola a Napoli e l’aveva vista armeggiare con una boccetta nel bagno del treno per Brindisi. Inizialmente affascinati dalla bellezza e dalla durezza di lei, i cronisti cominciano a pensare che anche il marito fosse un personaggio degno di nota, tutt’altro che succube della bella Claire.

Riescono a sapere tramite amici della coppia, che i due erano in crisi, e che lui l’aveva ripudiata da tempo, come è in uso nei paesi islamici, riservandosi di decidere per il divorzio. Spingere la moglie all’omicidio e poi incastrarla testimoniando contro di lei poteva essere l’astuta mossa di un uomo fintamente ingenuo.

E Claire? Mai un cedimento, anzi, durante il carcere preventivo in attesa del processo per omicidio aveva imparato a lavorare a maglia e aveva anche conseguito la licenza elementare alla scuola italiana del penitenziario. C’è anche l’ipotesi, tutt’altro che campata in aria, che i due si accusino a vicenda affinchè l’accusa non riesca a individuare con certezza il vero colpevole.

Il processo di primo grado si celebra nel 1966. Anche in questo caso il Tribunale è preso d’assalto da folle di spettatori degne di un Angelus Papale. I due in aula si scambiano accuse, insulti, ma questo non fa che confondere ulteriormente la giuria, che non sa a chi attribuire la responsabilità del delitto. Se è valido il movente della gelosia per Yussef, lo è allo stesso modo quello della vendetta per Claire. Alla fine la sentenza sorprende tutti e suscita l’ammirazione del pubblico, che aveva seguito tutte le udienze, per la "diabolica coppia": i coniugi Bebawi sono entrambi assolti per insufficienza di prove. La legge, nel dubbio se mandare un innocente in cella e un colpevole in libertà, ha deciso di non aprire le porte del carcere per nessuno dei due. Una volta letto il verdetto l’aula è quasi crollata per gli applausi scroscianti della gente.

Di quel popolo che nel potere costituito aveva sempre visto la prepotenza verso i più deboli e che appariva disarmato verso due "outsider", due stranieri ricchi e spregiudicati che pur ammettendo di essere coinvolti in un omicidio lasciavano il Tribunale liberi e pronti a riprendere la loro vita di sempre, tra viaggi, crociere, belle auto e lussi di ogni tipo.

Come se non bastasse Claire sfrutta la notorietà acquistata dalle sue vicende giudiziare per rilasciare interviste esclusive (e ben retribuite) ai rotocalchi.

Si trasferisce a Roma, quartiere Montesacro. Viene avvicinata da alcuni produttori cinematografici con copioni cuciti sul suo personaggio di amante luciferina (un titolo su tutti: "Le donne peccano in silenzio", mai realizzato). Manifesta l’intenzione che tale rimane, di scrivere un romanzo, riscuote successo come creatrice di golfini e maglioncini fatti all’uncinetto (il carcere le era servito anche a questo), che vanno a ruba tra le signore dell’alta borghesia romana.

Claire tra le altre cose ha divorziato definitivamente da Yussef, che è tornato in Egitto, ed ora è legata da tenera amicizia proprio con il legale che l’ha difesa in primo grado. Forse è l’avvocato a ricordarle che prima o poi ci sarà il processo d’appello e che per precauzione forse è il caso di cambiare aria come ha già fatto l’ex marito. L’intuizione è giusta.

L’accusa questa volta imbrocca una tesi che probabilmente avrebbe dovuto sposare da subito. I due ex coniugi sono correi: non si tratta di stabilire se il colpevole sia l’uno o l’altra. Si sono coperti e favoriti a vicenda accusandosi reciprocamente, per questo sono entrambi responsabili. Ma il processo, come ricorda Enzo Rava nel suo libro, Roma in cronaca nera, "si celebra contro due seggiole vuote", condannate a 22 anni ciascuna.

La cassazione conferma la sentenza nel 1974, ma sono già altri tempi. Segnati dalle stragi, dagli omicidi di mafia, dalle prime azioni delle Br…

Claire, una volta tornata al Cairo si inventa guida turistica per viaggiatori facoltosi. Qualche giornalista la raggiunge su un battello che corre lungo il Nilo. "Lei commenta la sentenza con distacco, ricorda Roma come una città lontana, una distanza soprattutto temporale: ‘Mi dicono che è tanto cambiata, rovinata dal traffico’.

Dell’ex amante quasi non parla più. Anche lui è un ricordo lontano.