
Clinton, il potere dell’ottimismo e la fine della rivoluzione democratica globale

24 Gennaio 2024
Attraverso il lavoro svolto su materiali declassificati, Andrea Spiri e Maria Vittoria Lazzarini Merloni ricostruiscono la politica estera clintoniana in Dalla Guerra Fredda al disordine globale (Carocci), il saggio presentato ieri a Roma presso il Centro Studi Americani.
Nei primi anni Novanta Clinton, il governatore dell’Arkansas che nel suo discorso alla Convention dei Democratici aveva dedicato un minuto alle questioni di politica estera, vinse le elezioni presidenziali puntando su una agenda interna soprattutto economica. Il giovane inquilino della Casa Bianca non sembrava aver l’intenzione di ordinare nuovi interventi militari in giro per il mondo.
Clinton interpretava un sentimento diffuso tra gli americani usciti vincitori dalla Guerra Fredda e alle prese con la recessione: farsi gli affari propri e puntare a una nuova era di pace prosperità e benessere. Spiri ricorda il “multilateralismo assertivo” propugnato da ‘Madam Secretary’, Madaleine Albright, la dottrina strategica ispirata da un moderato interventismo democratico, l’uso limitato della forza e specificamente il controllo dei cieli, che il gigante unipolare avrebbe applicato per allargare ad est l’Alleanza atlantica (Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria), con gli attacchi Nato su Belgrado e a protezione del Kosovo.
L’idea era che l’Europa iniziasse a occuparsi della sua sicurezza e che gli Usa, pur conservando la propria egemonia, delegassero ad organismi come le Nazioni Unite quella internazionale. I documenti contenuti nel saggio mostrano il tentativo clintoniano di un allargamento della Nato ad Est, con la ambizione dell’inclusione della Russia e della Ucraina nel perimetro atlantico.
“Bill, ti chiedo una cosa. Date l’Europa alla Russia,” a questa richiesta non proprio sobria di Eltsin, Clinton avrebbe risposto con “Non credo che gli europei apprezzerebbero molto”. Una affermazione alla quale ispirarsi oggi, quando la classe politica europea si trova a decidere se continuare a inviare armi all’Ucraina, considerando che a distanza di decenni il grosso dello sforzo militare per difendere Kiev continua ad essere portato avanti dagli Usa.
L’età clintoniana fu caratterizzata da molti errori, causati da quel generale “ottimismo” sui destini unipolari del mondo globalizzato, come ricorda lo storico e presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello, intervenuto nel corso della presentazione. Clinton decise di stringere relazioni amichevoli con l’ex avversario russo, limitando l’ingresso nel Patto atlantico solo ad alcuni Paesi europei, tagliando fuori l’Ucraina e soprattutto privandola dell’arma nucleare (giudicato in tempi recenti uno sbaglio dallo stesso Clinton).
La politica di potenziale partenariato tra Nato e Russia avviata dagli Usa con Eltsin sarebbe proseguita con Putin, sfociando negli accordi di Pratica di Mare del 2002 tra Bush figlio e l’attuale presidente russo, prima di rivelarsi un fiasco con il ritorno del Cremlino alla sanguinaria politica di potenza che ben conosciamo.
L’opinione di chi scrive è che i Democratici Usa negli ultimi decenni troppo spesso abbiano ritenuto di poter governare i conflitti regionali con un atteggiamento che sottovalutava il riemergere dei totalitarismi nel nuovo scenario di disordine globale.
Negli anni Novanta l’enorme avanzamento della tecnologia militare con la RMA (ad esempio i missili Atacms usati nella Prima Guerra in Iraq) spinse i Democratici a credere di poter vincere le guerre dal cielo minimizzando il rischio delle perdite militari. Così la ritorsione clintoniana dopo le bombe islamiste contro le ambasciate Usa in Kenya, Tanzania, e l’attacco alla USS Cole nel porto di Aden del 2000, si sarebbe limitato al lancio di missili contro le basi quaediste in Africa e Afghanistan.
Osama Bin Laden sfuggì agli attacchi e da quel momento il burattinaio del terrorismo islamico avrebbe alimentato la sua propaganda contro gli occidentali vigliacchi che lanciano bombe dall’alto perché non hanno il coraggio di combattere sul terreno. L’11 Settembre 2001, dopo la fine del secondo mandato di Clinton, avrebbe tragicamente mostrato i limiti di quell’approccio.
Terrorismo, autocrazie e regimi illiberali da allora hanno ripreso a prosperare. Gli aiuti alimentari e umanitari gratuiti concessi alla Corea del Nord avrebbero spinto Pyongyang a proseguire nei programmi clandestini di sviluppo del nucleare già avviati negli anni Ottanta, mentre alla fine degli anni Novanta il realista Clinton avrebbe perorato l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
L’America che aveva condotto una rivoluzione democratica su scala globale vincendo la Guerra Fredda, iniziava un lento ritiro, tradendo almeno parzialmente le aspettative di chi si batteva contro regimi dispotici e totalitari. Uno scenario che presto potrebbe tornare di moda alla Casa Bianca.