Coalizione in difficoltà per il politically correct dei leader occidentali
11 Giugno 2010
Notizie sempre più sconcertanti giungono dall’Afghanistan dopo la morte dei due alpini uccisi da una bomba artigianale il 17 maggio sulla strada per Bala Murghab. La notizia seria, ma che per questo verrà tenuta sotto silenzio o a basso profilo il più possibile, è che la bomba che ha ucciso i nostri soldati (ferendone altri 2) era diretta contro gli italiani. A smentire le chiacchiere vanamente rassicuranti delle autorità militari e politiche hanno provveduto le perizie tecniche (non ancora rese note) che hanno provato che l’esplosione dell’ordigno era pilotata con un comando a distanza azionato al passaggio del Lince dei genieri gustatori, probabilmente il vero obiettivo dei “bombaroli “talebani. Del resto erano parse ben poco credibili le dichiarazioni di chi voleva lasciar intendere che gli italiani erano finiti per caso su quella bomba. Come se i talebani non ci considerassero nemici da uccidere. Del resto anche i nostri non scherzano se solo nei sei mesi tra primavera ed estate 2009 i parà della Folgore hanno ucciso oltre mille talebani.
Secondo quanto riferito dal settimanale L’Espresso le truppe italiane avrebbero risposto all’attentato con una “rappresaglia” o “ritorsione” attaccando un accampamento talebano non lontano da Bala Murghab con l’appoggio di jet americani. Il settimanale, che chiede se si sia trattato di una “rappresaglia per l’attentato contro gli alpini”, rivela che l’operazione sarebbe stata autorizzata direttamente dal ministro La Russa e condotta nel massimo segreto. La notizia del blitz era però già stata diffusa il giorno 19 dall’agenzia di stampa “Il Velino” con un lancio di Francesco Bussoletti che riferiva di vittime tra gli insorti e nessun ferito tra gli alleati. Il giorno 20 ne avevo parlato sul blog “Guerre di Pace italiane” sul sito www.panorama.it ma il comando italiano di Herat aveva però smentito la partecipazione di truppe italiane a quella battaglia. Pochi giorni dopo però il ministro La Russa ha invece implicitamente ammesso che gli italiani c’erano. Negando ogni interferenza con i comandi militari, il ministro ha definito lo scontro “una normale operazione in linea con i compiti che sono affidati al nostro contingente”.
All’ipotesi di rappresaglie ha reagito duramente Gianfranco Paglia, Medaglia d’Oro al Valor Militare e ora deputato del PdL che considera offensive le accuse. In realtà nell’attaccare bande di talebani i nostri soldati fanno il loro mestiere, di rappresaglia o ritorsione si potrebbe parlare solo in caso di violenze sui civili o sui prigionieri. Sembrerebbe banale dirlo (ma in Italia nulla sembra essere più dirompente delle cose banali) ma mi sembra un’ottima cosa che i nostri militari sbaraglino i talebani ogni volta che è possibile e anche che ne uccidano un buon numero. Anche perché far la guerra ai miliziani sembra essere sempre più difficile per i soldati alleati, specie ora che gli anglo-americani vogliono decorare al valore i militari che si astengono dal far fuoco o limitano l’uso delle armi. La proposta è stata formulata dal generale britannico Nick Carter ma ai comandanti statunitensi dell’era obamiana è subito piaciuta perché dall’inizio dell’anno le forze Nato hanno ucciso per errore un centinaio di civili.
I caduti tra gli alleati sono però più del doppio (223) e decorare chi decide di non sparare non sembra una buona idea alle truppe in prima linea. Un soldato americano teme che “direttive confuse rendono più difficile l’autodifesa dei soldati” e un capitano dei marines reduce dall’Iraq bolla senza appello l’ipotesi della nuova decorazione come “una pessima idea” perché “ci hanno insegnato a non esitare in situazioni di pericolo per non mettere in pericolo la nostra vita e quella dei commilitoni, e ora ci dicono il contrario.” Per il professor Jeffrey F. Addicott ex avvocato militare e consigliere giuridico dei Berretti Verdi l’ipotesi di premiare chi non combatte “è oltraggiosa per i combattenti, manda un messaggio deprimente alle nostre truppe, non conforme alle leggi di guerra e rappresentata una vittoria propagandistica per i nostri nemici.” “Purtroppo ci stanno riducendo a una forza di polizia” ha commentato con sarcasmo un soldato americano sotto anonimato. Ci sono soldati che non escono mai dalle basi di Bagram o Kandahar. Tano vale lasciarci tutti al sicuro nelle basi senza combattere il nemico e distribuire a tutti medaglie al valore”.
Difficile vincere la guerra con le armi del politically correct, utilissime però a farla perdere disarmando e demotivando i combattenti. Colpa della politica, si dice sempre ma in realtà quando i politici provano a dire la verità vengono subito accusati di razzismo e imperialismo e costretti a tacere, scusarsi o addirittura dimettersi. Guardate cosa è capitato al nuovo ministro britannico della Difesa, Liam Fox, finito sotto accusa perché in un’intervista al Times ha detto che “non siamo in Afghanistan per educare un paese rimasto al medioevo. Siamo lì perché il popolo britannico e i suoi interessi nel mondo non siano minacciati”. Verità inconfutabili che spiegano le ragioni (le uniche valide) per le quali Londra ha speso finora miliardi di sterline e 286 vite di suoi soldati in Afghanistan. Verità divenute però inconfessabili nell’era del buonismo e del politicamente corretto. Alle critiche piovute sul ministro da ambienti politici e intellettuali si è aggiunta la reazione del governo afghano, che senza i britannici non esisterebbe. Un funzionario ha accusato il ministro di “razzismo” aggiungendo minaccioso che ”purtroppo Fox quelle cose le pensa davvero e non è il solo. Londra e Kabul devono fare progressi o le cose saranno più difficili in futuro.” Pochi giorni più tardi a finire travolto dalla “bufera afghana” è stato il presidente tedesco, Horst Koehler, che in un’intervista radiofonica affermato che “un grande Paese orientato all’export come la Germania deve sapere che può essere necessario anche un intervento militare per difendere i propri interessi” specie se riguardano “le libere vie di comunicazione commerciale, ma anche il contrasto all’instabilità regionale che sicuramente si ripercuoterebbero negativamente sulle nostre possibilità in termini di commercio, posti di lavoro e salari”. Vade retro ! Le anime pie del buonismo da parrocchia e da casa del popolo si sono messe a cantare in coro, Peppone e Don Camillo si sono uniti contro il cinico realismo d Koehler. Immediata è arrivata la replica di Thomas Oppermann, del Partito Socialdemocratico (Spd) per il quale “Koehler danneggia l’impegno militare all’estero della Bundeswehr”, poiché in Afghanistan la Germania “non fa la guerra per gli interessi economici, ma per la nostra sicurezza”. Affermazione ridicola considerato che il concetto di sicurezza riguarda anche gli interessi economici e commerciali. Klaus Ernst, leader della Linke (sinistra) esulta perché il presidente “ha detto apertamente ciò che è impossibile negare”, in quanto in Afghanistan i soldati tedeschi “rischiano la vita per gli interessi volti all’esportazione di grandi gruppi industriali”. Non poteva mancare il parere di luminari e intellettuali, e infatti il costituzionalista Ulrich Preuss non ha esitato a definire “estremamente irritanti” le dichiarazioni di Koehler, dalle quali “traspare un accento imperiale, che ricorda gli imperialisti inglesi del XIX secolo, che difendevano con gli stessi argomenti la loro dominazione dei mari”. E vai con i sensi di colpa che l’Europa deve nutrire verso il mondo intero per avere avuto un (glorioso) passato imperial-coloniale. Eredità sessantottine delle quali non ci liberemo presto.
Ma il colpo di grazia al presidente tedesco l’ha inferto lo stesso governo di Berlino. Per Ruprecht Polenz (Cdu), presidente della Commissione Esteri del Bundestag, secondo il quale il presidente della Repubblica si è “espresso in modo ambiguo” mentre ill ministro della Difesa, Karl-Theodor zu Guttenberg, ha dichiarato che ”gli interessi economici non sono la giustificazione della missione in Afghanistan”, anche se ha dovuto ammettere che la protezione delle rotte commerciali sarebbe invece una giustificazione valida. Non dimentichiamoci che il prode Guttemberg ha riconosciuto due mesi or sono che in Afghanistan è in atto una guerra. Dopo 42 caduti e otto anni di presenza militare tedesca a Kabul….
Koehler ha affermato che ”queste critiche sono prive di qualsiasi giustificazione” ma la pressione contro di lui è stata tale da costringerlo alle dimissioni. Le verità vanno taciute perché noi europei ci vergogniamo di combattere e uccidere per i nostri interessi. Molto meglio le solite parole cariche di vuota retorica che sentiamo a ogni solenne funerale di stato dei caduti in Afghanistan, cerimonie che andrebbero abolite perché costituiscono un bel regalo alla propaganda nemica. Uno spettacolo deprimente quello di una classe dirigente che dovrebbe guidare alcune tra le più grandi potenze economiche e militari ma ha perso di vista il pragmatismo necessario e non è in grado di spiegare all’opinione pubblica perché occorre “morire per Kabul”. Una leadership che nega o si vergogna dei motivi per i quali invia le truppe in guerra. Come se esistesse una ragione migliore degli interessi nazionali (politici, economici, strategici e commerciali) per mandare i soldati a combattere e morire.