Col mito dell’accoglienza Veltroni apre Roma ai criminali
10 Settembre 2007
Roma è sempre stata una città sicura, dove non è mai stato pericoloso passeggiare, anche di notte. Negli ultimi anni però, contrariamente a quanto si è affannato ad affermare Walter Veltroni, qualcosa è cambiato, la criminalità si è fatta più insidiosa. Lui, il Sindaco, in questi anni invece non ha fatto altro che esprimere la sua soddisfazione per la sicurezza raggiunta. Il 15 aprile del 2004, intervenendo alla Conferenza regionale delle autorità di pubblica sicurezza, dichiarava: “Roma è la città più vivibile d’Europa. E questo grazie al modello che stiamo portando avanti: il modello Roma. Un modello di collaborazione tra forze dell’ordine e istituzioni che ha permesso di affrontare insieme rischi, pericoli e emergenze”. Insomma la solita tiritera sul modello Roma, con una autoproclamazione a “città più vivibile d’Europa”. Nessuna osservazione sui rischi derivanti da una criminalità che già allora stava mutando. Al contrario, nel corso degli anni Veltroni ha ribadito a più riprese il suo compiacimento per una condizione da Città ideale.
Certamente la Capitale, come si diceva, è una città storicamente tranquilla, nella quale il tessuto sociale ha sempre saputo contenere la criminalità in argini tali da risultare nelle statistiche più sicura di tante altre capitali d’Europa e del mondo. Ma non per merito di Veltroni. E’ un dato storico sul quale si potrebbero svolgere approfondite analisi, più sociologiche che non politico-amministrative. Purtroppo però la tentazione del Sindaco di attribuirsi meriti non suoi è irresistibile. Così un anno fa, il 9 settembre 2006, dichiarava: “Roma nel corso di questi cinque anni è riuscita a garantire la sicurezza di tutti i cittadini e continuerà a farlo anche grazie al lavoro delle forze dell’ordine, ma anche soprattutto grazie al clima civile e ai messaggi che da questa città vengono lanciati”. Ma guarda che coincidenza: cinque anni, proprio dal 2001, da quando lui ha iniziato a fare il Sindaco. Dunque forze dell’ordine, ma anche e soprattutto “clima civile e messaggi lanciati”. Lanciati da chi? Ma certo da lui, Walter. Accoglienza, accoglienza, siamo la città dell’accoglienza, era lo slogan.
Già allora però emergeva una situazione non troppo rassicurante. Dal 2004 al 2005 infatti si era registrato un aumento del 9,6 % dei delitti denunciati. Nei primi sei mesi del 2007, a conferma di una tendenza preoccupante, il Questore Fulvi ha segnalato un aumento del 10% di furti, borseggi. Ma il numero delle rapine, trapelato a fatica dalle stanze del Tribunale di piazzale Clodio, pare sia molto ma molto più allarmante. A fronte di 2400 rapine nei primi sei mesi del 2006, nell’anno in corso si è arrivati al’inquietante cifra di 4900! Dunque più che raddoppiate. E per di più la maggior parte sono state commesse per strada. Inoltre in ben 3100 di esse si registra l’anonimato e la conseguente impunità degli autori. Roma risulta la seconda città d’Italia dopo Milano e peggio di Napoli nei furti di autoveicoli e ha dati peggiori di Napoli anche rispetto alle violenze sessuali, ai furti in abitazioni, ai furti in esercizi commerciali, ai furti nelle auto in sosta e alle rapine in banca. Se Napoli – della quale nessuno a rischio di suscitare grasse risate parlerebbe di Modello Napoli – è più sicura di Roma in queste categorie di reati, in cosa consisterebbe il Modello Roma sulla sicurezza?
Eppure Veltroni fino a un anno fa appunto, nel giugno 2006, diceva: “Una polizza sulla sicurezza della città è diffondere a Roma la cultura dell’accoglienza e della solidarietà nei confronti degli immigrati”. O ancora quattro mesi fa: “Vorrei invitare tutti a non fare la cosa più semplice, a non diventare razzisti, perchè quando c’è una rapina si dice: ‘un rumeno fa una rapina’, quando c’è un operaio che cade da un’impalcatura, non si dice operaio rumeno”. Crediamo non sia razzista o xenofobo ricordare che l’ex prefetto Serra tempo fa aveva diffuso un dato che avrebbe dovuto far riflettere il Sindaco: il 90% degli arrestati in flagranza di reato nel centro storico sono immigrati, quasi tutti clandestini. Il 40% sono rumeni.
Roma non ha bisogno degli appelli di Veltroni per essere aperta e accogliente, perché lo è sempre stata. Ma non aveva mai dovuto fronteggiare una tale quantità di stranieri allo sbando che, dati alla mano, sono il principale alimento di quella sensazione di insicurezza che i cittadini percepiscono. Peraltro, tutti gli studi più recenti sul fenomeno della fear of crime hanno chiarito che negare il problema in nome di una generica solidarietà non fa altro che alimentare sempre di più il senso di insicurezza e diminuire la fiducia nelle Istituzioni. Inoltre su Roma cresce il passaparola di città dell’impunità, tra coloro che non sono propriamente disgraziati in cerca di lavoro, ma abituali manovali del crimine, Non è colpa di qualche leghista forcaiolo se, come ha affermato il pm Giuseppe Corasaniti, su 900 detenuti a Regina Coeli, 500 sono stranieri e ben 270 rumeni. Corasaniti ha parlato di vera e propria emergenza della criminalità rumena. Indubbiamente le aggressioni del povero signore sessantenne sulla pista ciclabile, del regista Giuseppe Tornatore e della signora in un parco – solo le utlime di una serie che si alimenta giorno per giorno – tutte ad opera di rumeni, inducono a pensare che il magistrato non esageri nel definirla un’emergenza. A Roma su 6000 procedimenti penali ben 2300 sono ad opera di rumeni. Sarebbe il caso che anche il governo Prodi si ponesse il problema. E non è certo colpa di Calderoli se le statistiche individuano rumeni, marocchini e albanesi come i responsabili del 40% dei reati commessi da stranieri in Italia. Forse la risposta leghista è inopportuna e non risolutiva, ma neanche quella “inclusiva” del Sindaco candidato segretario Veltroni sembra essere adeguata, almeno a giudicare dai risultati.
Oppure anche questa risulta essere una provocazione razzista? La mutazione che sta avvenendo nella criminalità a Roma è insidiosa proprio perchè sfugge alle tradizionali categorie storiche del fenomeno. Nuove mafie – albanese, rumena e cinese – si stanno sostituendo pian piano nel controllo delle principali attività criminali e introducono modalità criminali nuove. E’ un cambiamento molto pericoloso perchè cambiano i codici e le regole, molto più efferate e spregiudicate di quelle della tradizionale malavita romana. Gli episodi di quest’estate con bastonate in testa, senza tanti scrupoli delle conseguenze anche mortali del gesto, ne sono un esempio eclatante.
Ora, con un po’ di lentezza, il sindaco-candidato segretario del Pd sembra aver capito che la situazione non gli permette più di continuare con il suo ormai proverbiale buonismo in stile Roma città aperta. Il suo atteggiamento verso la questione sicurezza sembra infatti decisamente cambiato. Forse qualche sondaggio giunto sul suo tavolo l’ha indotto a non lasciare al centrodestra l’egemonia su questo scottante argomento? Non tanto perché, come ha sostenuto alla faccia del clima di distensione tra i poli, “la destra porterebbe a un imbarbarimento” e neanche perché “il tema sicurezza non è né di destra né di sinistra”, semplicemente perché ha compreso che se vuole candidarsi a fare il premier non può più recitare solo il mantra dell’accoglienza, della solidarietà, delle feste del vicinato, insomma del “volemose bene”. Deve proporre soluzioni concrete, deve dare la sensazione di essere risoluto e deciso, di esser quantomeno all’altezza del suo collega Cofferati, che a Bologna una credibilità in materia se l’è guadagnata fin dall’inizio del suo mandato, sfidando però l’impopolarità e polemizzando apertamente con la sinistra antagonista.
Il cambio di rotta veltroniano è iniziato giusto da qualche mese. Dapprima inseguendo un po’ affannosamente Letizia Moratti nelle sue sacrosante richieste al governo e sottoscrivendo anche lui un “patto sulla sicurezza” con il Ministro dell’Interno Giuliano Amato. Patto peraltro da Veltroni già disatteso, poiché i quattro nuovi campi nomadi promessi, le cui aree sarebbero dovute essere definite entro il 18 agosto – e per il progetto erano pronti 10 milioni di euro della Regione Lazio – sono ancora nel libro dei sogni. Poi volando a Bucarest nell’immediata vigilia dell’annuncio della candidatura al Lingotto: gran cassa mediatica con telegiornali e giornali al seguito intenti a raccontarci quanto fosse utile quella missione per prevenire l’invasione di immigrati “comunitari” dalla Romania. Risultato: un accordo sottoscritto con il governo rumeno, per la cooperazione tra la polizia locale, inviata a Roma, e le nostre forze dell’ordine. Finora però di poliziotti rumeni nella Capitale ne sono arrivati solo una quindicina: hanno partecipato a una bella conferenza stampa (come ti sbagli!), ma di operazioni di controllo ai campi rom o in giro per la città non ne risulta nessuna. Se ci fossero state, ne siamo certi, le telecamere sarebbero state invitate. E infine, dopo l’ordinanza di Domenici sui lavavetri, facendo scattare l’operazione “Vigili Urbani alla riscossa”. Da lì sono iniziati i bollettini di 31, 52, 23 fermati extracomunitari. Numeri di una tombola che durerà per qualche settimana, magari fino al 14 ottobre, giusto il tempo di far capire che Walter è un duro, che non scherza.
Viene da chiedersi: ma come? Non andava tutto bene? Come mai c’è stato un improvviso bisogno di istituire una task force della Polizia municipale? Come mai sono stati strombazzati i risultati dei primi interventi di questo nucleo speciale? Evidentemente la situazione non era così rosea come la si è voluta dipingere. Forse il Modello Roma sulla sicurezza non ha funzionato poi così bene?
Eppure per capire a che punto si fosse arrivati nella vendita di prodotti illegali e contraffatti, negli accattonaggi con la regia degli sfruttatori del racket, nel livello di aggressivit%C3