Col sì al semipresidenzialismo è chiaro chi vuole le riforme e chi rema contro
24 Luglio 2012
di L. B.
Il primo round è andato ma il cammino è ancora lungo. L’Aula del Senato dice sì all’elezione diretta del capo dello Stato coi voti di Pdl, Lega e Coesione Nazionale. Pd sugli scudi ma qualche dissenso si registra anche nelle file senatoriali del partito di via dell’Umiltà. Adesso tocca alla Camera. Intanto, resta da capire come e se l’intesa ABC sulle riforme andrà avanti.
La norma approvata dal Senato modifica l’articolo 83 della Costituzione e introduce il semipresidenzialismo. Nel testo, firmato dai vertici del gruppo del Pdl Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello è scritto che il presidente della Repubblica rappresenta l’unità della nazione e ne garantisce l’indipendenza.
Il Capo dello Stato viene eletto a suffragio universale; tra i compiti assegnati c’è quello di vigilare sul rispetto della Costituzione; di rappresentare il Paese in sede internazionale ed europea, assicurare il rispetto dei trattati e degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia a organizzazioni internazionali e sovranazionali. La norma va ad aggiungersi al ‘pacchetto’ sulle riforme costituzionali che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, il varo del Senato federale, giù approvati da Palazzo Madama nelle scorse settimane. Da registrare l’astensione di due senatori Pdl, Pisanu e Saro che pur dichiarandosi favorevoli al semipresidenzialismo contestano il metodo col quale si è arrivati al voto, manifestando preoccupazione per gli effetti che potrebbero ripercuotersi sull’intesa ABC proprio sulle riforme. Non è una novità, del resto, visto la posizione critica che Pisanu ha assunto da tempo nei confronti del suo partito.
Per il Pdl si tratta di un “passaggio storico”, di un “risarcimento alla sovranità popolare”. Il partito del Cav. si è fatto promotore dell’iniziativa sulla quale il Pd sta facendo fuoco e fiamme, forse – è la lettura maliziosa e ricorrente tra i parlamentari pidiellini – per esercitare un pressing maggiore nel confronto sulla riforma della legge elettorale o forse, secondo altre letture, per farlo naufragare contando sul vantaggio che i sondaggi assegnano ai democrat nel 2013 se si dovesse andare a votare con l’attuale modello (alias Porcellum).
Adesso tocca alla Camera ma la strada è lunga e in salita perché trattandosi di riforma costituzionale servono quattro letture prima che le modifiche approvate oggi dal Senato diventino legge. E’ un tempo molto dilatato e nel mezzo ci stanno altrettante variabili. Come sempre accade in politica. Un fatto è certo: col voto di oggi al Senato è più chiaro il discrimine tra chi vuole fare le riforme necessarie al Paese e chi, invece, rema contro.