“Colpo di spada”, i Marines vanno a caccia dei Talebani  nell’Helmand

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

“Colpo di spada”, i Marines vanno a caccia dei Talebani nell’Helmand

02 Luglio 2009

La prima unità di Marines è partita poco prima della mezzanotte, sotto la luce della mezzaluna, da una remota base militare nel deserto. I militari sono saliti sugli elicotteri di trasporto Chinook e i Super Stallion, spalleggiati dagli Apache e i jet da combattimento della NATO. Nello stesso momento, forze addizionali di terra abbandonavano le basi militari a bordo dei blindati per raggiungere la parte interna della valle dell’Helmand, attraversando i paesini lungo il fiume.

Ha preso il via questa mattina nella parte bassa della valle del fiume Helmand, nell’Afghanistan meridionale, una massiccia offensiva delle forze americane contro i Talebani, la prima e la più vasta nel quadro della nuova strategia militare americana definita dopo l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca. Si tratta della più grande operazione aerotrasportata mai compiuta dai Marines dopo la guerra nel Vietnam, come affermano gli ufficiali sul terreno.

All’"Operazione Khanjar" (colpo di spada) partecipano quasi 4.000 fra Marines e altri militari Usa assieme a circa 650 soldati e agenti di polizia afghani, rivela un comunicato del Corpo di intervento rapido statunitense. Sono mobilitati anche 50 aerei. I 4mila Marines hanno già cominciato a spingersi dalle prime ore della notte, a bordo di elicotteri e mezzi corazzati, all’interno delle zone controllate dagli insorti, intorno alla valle del fiume Helmand. L’offensiva è stata preparata nelle ultime settimane in collaborazione con le forze britanniche – la cui base principale del comando Isaf in Helmand è adiacente a quella dei Marines – che continueranno a prendere parte all’operazione insieme a 600 soldati afghani, assicurando così il loro sostegno all’operazione.

Nelle ultime settimane le truppe britanniche avevano iniziato a stabilire posti di blocco nelle vicinanze dei ponti sui canali di irrigazione per frenare i movimenti degli insorgenti prima delle elezioni presidenziali. Ora questi blocchi sono diventati parte essenziale della strategia per stabilire più sicurezza e controllo nell’area interessata dall’operazione.

Gli Usa, negli ultimi due mesi, avevano inviato nella provincia di Helmand 8.500 marines: è stato il maggiore dispiegamento di forze nell’ambito dell’annunciato aumento di truppe Usa dai 32 mila uomini di inizio anno ai 68 mila previsti per la fine del 2009. "Ciò che rende l’operazione Khanjar diversa da tutte le altre precedenti sono le massicce dimensioni della forza impiegata, la velocità con cui le truppe si muoveranno nel territorio, e il fatto che dove andiamo, rimarreremo e dove rimarremo costruiremo e lavoreremo verso la transizione di tutte le responsabilità di sicurezza alle forze afghane", ha dichiarato il generale Larry Nicholson, comandante delle forze dei Marines dispiegate nell’operazione,, l’ufficiale a capo della brigata "Afghanistan" in missione nel tormentato paese asiatico.

Il riferimento è agli eventi due anni e mezzo fa: sul finire del 2006, mesi dopo essersi insediate nel distretto di Musa Qala, truppe britanniche era state costrette a ritirarsi a causa degli attacchi quotidiani dei Talebani che conquistarono  l’omonima città nel febbraio 2007 installandovi un’amministrazione-ombra.

La valle dell’Helmand, uno dei bastioni Talebani nel sud dell’Afghanistan dove si coltiva  ancora grano e oppio, è controllata in gran parte dai ribelli Talebani che hanno resistito per anni a forze Nato guidate dalla Gran Bretagna. L’Helmand è la maggiore provincia afghana per estensione (poco più piccola dell’intera Irlanda): vi si produce più della metà dell’oppio afghano che ha sua volta alimenta il 90 per cento del mercato mondiale dell’eroina. La popolazione della provincia è soprattutto pashtun, il maggiore gruppo etnico afghano tradizionalmente dominante nel paese.

La strategia di controinsorgenza segue il modello dell’operazione avviata in Iraq. Il capitano Bill Pelletier, portavoce dei Marines, ha spiegato che nei prossimi giorni le truppe incontreranno i leader tribali, aiuteranno a determinare le necessità della popolazione locali e prenderanno le misure necessarie per rendere più sicure le città e i villaggi. "Non vogliamo che la gente della provincia di Helmand ci consideri un nemico, vogliamo proteggerli dal nemico".

La strategia americana parte infatti dal presupposto che la maggior parte della popolazione non è a favore dei Talebani, ma preferisce stare sotto il controllo del governo afgano. L’obiettivo dell’operazione è quindi quello di esercitare pressione sui militanti Talebani e dimostrare afgani l’impegno americano di rimanere il tempo necessario per aiutarli a ricostruire le loro proprie istituzioni.

A questo scopo le unità dei Marines sono state istruite per costruire e vivere in piccoli avamposti tra la popolazione locale. Il comandante di brigata, generale Lawrence D. Nicholson, ha affermato che "invece di organizzare una serie di sanguinose missioni contro gli insorgenti", i Marines concentreranno i loro sforzi nel proteggere i civili dai Talebani e nel ristabilire i servizi del governo afgano. "Stiamo facendo un’operazione militare molto diversa" ha detto Nicholson poche ore prima di iniziare la missione. "Staremo a fianco della popolazione. Non faremo noi il lavoro, ma li aiuteremo a fare in modo che il loro governo riesca a tenersi sulle proprie gambe", ha aggiunto.

Questo tipo di approccio era già stato provato nella zona orientale del Paese, ma nessuna operazione ha mai avuto prima d’ora la portata della missione in Helmand. Tra le altre priorità della missione dei Marines, spiega ancora il generale Nicholson, c’è quella di rinvigorire gli ufficiali del governo afgano e le forze di polizia locali. I comandanti aiuteranno i governanti della zona a organizzare le shuras (incontri con gli anziani della comunità, ndt) per la prossima settimana.

Ma non sono poche le sfide e le difficoltà che le truppe americane dovranno affrontare. In primis, la mancanza di fiducia della popolazione locale. L’esercito inglese, responsabile dell’Helmand dal 2005 sotto il mandato NATO per gli sforzi di stabilizzazione in Afghanistan, non aveva le risorse sufficienti per mantenere una presenza permanente nella maggior parte della provincia.

Gli americani dovranno anche affrontare le difficoltà della scarsa presenza di forze di sicurezza afgane e la quasi totale assenza di personale civile per la ricostruzione. Nonostante l’impegno del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia americana per lo Sviluppo di inviare personale aggiuntivo per aiutare le nuove forze nell’area meridionale dell’Afghanistan alla ricostruzione e lo sviluppo della governance, dall’arrivo dei Marines il Dipartimento di Stato ha finora inviato solo due ufficiali in Helmand. Il governo aveva anche promesso di rafforzare il personale diplomatico e inviare altri esperti della ricostruzione da affiancare ai Marines, ma costoro non arriveranno fino alla fine dell’estate.

Nel frattempo, per compensare la mancanza di personale, i Marines hanno inviato una cinquantina di militari, principalmente riservisti, con esperienza nella ricostruzione dei governi locali, nel business management e nella law enforcement. "Invece di riempire l’area con operazioni che comportino l’investimento di denaro, come è avvenuto in Iraq – afferma il colonnello Curtis Lee, comandante degli Affari civili dei Marines – voglio focalizzare le risorse nel miglioramento del governo locale". Non appena le strutture della governance di base verranno ristabilite, il personale della ricostruzione civile si concentrerà nei programmi di sviluppo economico, includendo programmi per aiutare gli afgani a sviluppare coltivazioni legali nell’area.