Colpo di Stato in Mauritania. Golpisti promettono libere elezioni
07 Agosto 2008
La democrazia resta una chimera in Mauritania. In un anno di relativa pacificazione politica e militare, l’unica minaccia al presidente Sidi Ould Cheikh Abdallahi, eletto nel marzo 2007 con un ampio consenso e dopo il referendum costituzionale e le elezioni parlamentari, sono state le incursioni dei terroristi di Al Qaeda nel Maghreb che hanno impedito lo svolgimento del raid di Dakar 2008; un danno non così leggero se si considera che la Mauritania poggiava molto sull’evento e sulle sette tappe da ospitare con sponsor e partecipazioni di notevoli imprese straniere.
Ieri però è arrivato il golpe (quasi una costante in un paese che ne ha conosciuti una ventina fra riusciti e sventati fino al 2007) con il quale il generale Mohamed Ould Abdel Aziz con l’appoggio pieno dell’esercito, ha destituito sia il capo di stato, sia il premier Yahia Ould Ahmed El Waghf, annunciando alla radio nazionale che il paese non sarebbe stato più governato da un presidente, ma da un Consiglio di Stato retto da lui e da altri due generali dell’esercito.
La figlia del presidente ha dichiarato che alcuni membri del Basep, il Battaglione di Sicurezza Presidenziale, hanno prelevato suo padre dall’abitazione nella mattinata, portandolo in una località sconosciuta, mentre il premier è stato messo agli arresti. Il golpe è stato veloce ed incruento, sebbene la situazione politica del paese stesse precipitando da mesi. A maggio è stato costretto a dimettersi il primo premier designato da Abdallahi, Zeine Olud Zeizane; successivamente sono aumentate le pressioni dell’opposizione contro l’aumento dei prezzi e contro la corruzione imperante nella gestione del potere di Abdallahi, criticato dagli islamici, per la reiterata posizione di dialogo con Israele e dalla popolazione nera per non aver risolto l’annosa questione della schiavitù, ancora applicata nel paese.
Abdallahi già da alcuni mesi era stato sfiduciato dalla sua stessa maggioranza. Nel mese scorso 39 deputati del suo partito avevano sottoscritto una mozione in cui chiedevano apertamente le dimissioni del nuovo premier El Waghf, accusato di preparare il ritorno del presidente Taya, deposto dopo più di venti anni di potere nel 2005 ed infine qualche giorno fa, 25 deputati e 23 senatori avevano lasciato senza maggioranza il presidente che ha provveduto in tale occasione a sostituire proprio i generali golpisti, accusandoli di architettare il fallimento politico del suo governo. Aveva visto giusto, ma i militari sono una forza troppo importante in un paese come la Mauritania ed averli contro è fatale. Lo fu per Moktar Ould Daddah, il padre della patria, invischiato in una difficile contesa con il Marocco per il possesso della provincia del Sahara Occidentale; lo fu per Ahmed Taya, dispotico padre padrone della Mauritania dal 1984 al 2005, quando fu deposto dal colonnello Mohammed Val, con la sapiente regia del capo dei servizi presidenziali Mohammed Ould Abdel Aziz, che avviò la strada per le elezioni e, secondo molti, si è ripreso formalmente, quel potere che gli è sempre appartenuto e che aveva solo parcheggiato ad Adbellahi.
L’Unione Africana e l’Unione Europea hanno condannato il golpe, pochi i commenti dall’ex colonia francese, che già conosceva in anticipo molti retroscena. Un regolamento di conti al momento senza guerra, con i militari che ritornano su una sedia scottante, dove continua la storica lotta fra gli arabi ricchi, i mauri mulatti da sempre classe dirigente nel paese ed i neri. Dove già la Cina ha messo gli occhi, stabilendosi con numerose imprese di estrazione di petrolio, rame e ferro. Il solito grande tesoro in una desertica terra dove il 70% di 3 milioni di abitanti soffre la fame. L’Italia, d’altro canto, ha importanti interessi in Mauritania, nel quadro del Piano Africa varato dal ministero dello Sviluppo economico. Alla luce del golpe, la scelta d’intavolare una partnership con il paese africano non è apparsa delle più felici. Ma va considerato che anche il Sudan è parte dell’iniziativa.