Come al solito Santoro se la canta e se la suona (la censura)
23 Febbraio 2012
Siamo alle solite, lui se la canta e lui se la suona. Parliamo di Michele-Martire della televisione italiana-Santoro che oggi occupa le prime pagine dei quotidiani nazionali con l’ennesima puntata della sua tragicommedia: “Io giornalista perseguitato dalla censura”.
Ecco la questione del giorno: stasera la scaletta di Servizio Pubblico prevede ci sia un’intervista ad Adriano Celentano, fresco delle polemiche scatenate a Sanremo. Anche stavolta, come una settimana fa sul palco dell’Ariston, il Molleggiato ha preteso di presentarsi in trasmissione senza render noto il contenuto del suo “sermone”. Proprio per questo Sandro Parenzo – patron di Mediapason e nel caso specifico, l’uomo che permette a Servizio Pubblico di andare in onda su un network di canali locali privati – prevedendo scomodi sproloqui celentaneschi sulla Rai ha tuonato: “Se non vedo il testo di Celentano, non lo mando in onda”.
Apriti cielo. L’ex conduttore di Annozero ancora una volta ha impugnato il megafono gridando a polmoni spiegati: “Censura!” e tutti hanno cominciato a stracciarsi le vesti per l’ennesima ingiustizia in casa Santoro. Ma, testo o no, pare proprio che la trasmissione andrà regolarmente in onda. Insomma tanto rumore per nulla. Non solo Santoro non rinuncerà alla sua ‘arena’ ma con questa vicenda si sarà fatto nient’altro che pubblicità.
Del resto tutta la sua carriera televisiva si è costruita giocando la parte della vittima imbavagliata dal Sistema. Dal celebre "editto bulgaro” di Silvio Berlusconi al momento in cui fu costretto a lasciare la Rai, passando per quando, venuto meno l’accordo con La7, affermò piagnucolando “Ci sono state poste norme contrattuali che noi consideriamo lesive della libertà degli autori e dei giornalisti”, la censura – a sua detta – continua a schiavizzarlo. Ma alla fine, a noi pare, riesce sempre a fare ciò che vuole. E anche stavolta è successa la stessa cosa. Questa del resto è la sua personale tattica per crearne ‘un caso’: metterci le fasce e darci fuoco.