Come andare verso sistemi pensionistici adeguati e sicuri nell’Ue

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Come andare verso sistemi pensionistici adeguati e sicuri nell’Ue

13 Settembre 2010

Si torna a parlare di pensioni nel quadro della procedura di consultazione (che si chiuderà a novembre) sul libro verde "Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa" presentato dalla Commissione Europea.

E’ questa una prassi comune per le iniziative della Ue, con l’obiettivo di coordinare, secondo un disegno il più possibile coerente, le posizioni e i problemi riguardanti i singoli paesi e i relativi sistemi pensionistici. 

Sarebbe sicuramente importante che l’Unione europea assumesse un ruolo di indirizzo più efficace rispetto alle esperienze fino ad ora seguite attraverso il Metodo del coordinamento aperto, basato sostanzialmente su pratiche un po’ burocratiche di "moral suasion", dal momento che la materia del welfare è riservata alle politiche dei singoli Stati.

Le indicazioni della Ue dovrebbero riguardare non solo l’adeguatezza dei trattamenti (che non può non risultare, in una logica di corretta distribuzione del rischio, dalla somma della previdenza obbligatoria a ripartizione e di quella privata a capitalizzazione), ma anche la sostenibilità dei sistemi, essendo questa la condizione necessaria per affrontare le sfide delle trasformazioni demografiche ed occupazionali che tanto preoccupano – soprattutto alla luce della crisi economica e finanziaria – l’Unione, come risulta non solo dal Rapporto sull’invecchiamento del 2009 e nello stesso Libro verde, laddove si afferma che: "La recente crisi finanziaria ed economica ha aggravato e amplificato gli effetti della marcata tendenza all’invecchiamento della popolazione. Le sue ripercussioni negative sulla crescita economica, sui bilanci pubblici, sulla stabilità finanziaria e sull’occupazione hanno acuito l’urgenza di una riforma delle pensioni e in particolare di una modifica delle condizioni di acquisizione dei diritti pensionistici. La crisi ha messo in luce la necessità di fare di più per migliorare l’efficienza e la sicurezza dei regimi pensionistici1, che non costituiscono soltanto uno strumento che assicura condizioni di esistenza dignitose alle persone anziane, ma anche la giusta ricompensa di una vita di lavoro".

Va fatto, altresì, notare che il crollo del Pil, in conseguenza della grave crisi economica, ha nei fatti determinato un notevole incremento dell’incidenza della spesa pensionistica sul prodotto, determinando l’anticipo di scenari attesi più avanti, quando si sarebbe verificato l’accesso al pensionamento delle coorti dei baby boomers.

Il nuovo ruolo di indirizzo dell’Unione potrebbe consistere nella formulazione, nel quadro del Metodo del coordinamento aperto, di proposte e suggerimenti, rivolti a ciascun paese, sulla base di una specifica istruttoria sui problemi di diversi sistemi pensionistici. In sostanza, il Metodo del coordinamento aperto in materia pensionistica dovrebbe assumere le caratteristiche, nell’ambito dell’Ecofin, dell’esame che attualmente è riservato alle manovre finanziarie annuali.

Lo spazio che il Libro verde riconosce ai temi della previdenza privata e ai fondi professionali privati rappresenta un riconoscimento del ruolo strategico che il secondo pilastro può e deve svolgere in una prospettiva di riforma del settore.

Un sistema a due pilastri – proprio perchè ripartisce il rischio ora sulla finanza pubblica ora sui mercati finanziari – è sicuramente più solido di un sistema limitato al solo pilastro obbligatorio e pubblico. A questo proposito, sulla base dell’esperienza compiuta soprattutto in Italia, si può arrivare alla conclusione che lo sviluppo del secondo pilastro è fortemente condizionato dal drenaggio delle risorse che confluiscono alla previdenza obbligatoria, nel contesto di disponibilità reddituali limitate. In Italia si è cercato di ovviare a questo inconveniente di carattere strutturale mettendo a disposizione dei lavoratori il trattamento di fine rapporto (tfr) maturando e facendone la principale fonte di finanziamento della previdenza privata.

Questa misura, tuttavia, ha lasciato scoperti quei settori del mercato del lavoro che non dispongono del tfr, per i quali si rende opportuno pensare a forme più accentuate di deducibilità fiscale per i contributi versati o a forme limitate e volontarie di opting out rispetto alle aliquote della contribuzione obbligatoria. Si tratta, in sostanza, di destinare alla previdenza complementare, nella misura del possibile, risorse (e quindi oneri) già gravanti sul costo del lavoro delle imprese e sul reddito netto dei lavoratori. Si tenga conto, infatti, che, a fronte di un onere pari al 33% della retribuzione destinato alla previdenza obbligatoria, di circa il 7% riferito al tfr, non resterebbe una base economica adeguata per i versamenti ai fondi pensione e alle altre forme di previdenza complementare, se non si cercasse di riconvertire qualcuna di queste voci a finalità di copertura pensionistica, mediante la contribuzione a carico dei datori e dei lavoratori.  

Quanto all’innalzamento dell’età effettiva di pensionamento si tratta di un obiettivo già coerente con la Strategia di Lisbona 2000, la quale aveva assunto, ai fini degli obiettivi occupazionali previsti nel 2010, il conseguimento di un tasso di impiego pari al 50% per le persone in età compresa tra 55 e 64 anni.

Le indicazioni del Consiglio di Barcellona, nel 2002, avevano reso coerenti gli aspetti attinenti al mercato del lavoro con quelli riguardanti i sistemi pensionistici (e il loro equilibrio a fronte della impennata costante e progressiva dell’attesa di vita), preconizzando interventi che allungassero di 5 anni, entro i 2010, l’età media effettiva di pensionamento.

Le riforme hanno sicuramente ritardato l’uscita dal mercato del lavoro, sia delle lavoratrici che dei lavoratori (nel 2009, in piena crisi, i lavoratori con più di 55 anni sono aumentati di 125mila, proprio per effetto delle modifiche apportate alle regole del pensionamento), ma si rimane lontani dall’obiettivo indicato, il cui raggiungimento è stato ri-programmato nell’ambito della strategia "Europa 2020".

Si ritiene utile prevedere, come indicazione della Ue, meccanismi di adeguamento automatico dell’età pensionabile all’evoluzione demografica come, peraltro, disposto in Italia a partire dal 2015. Ma si considera, altresì, necessario adottare meccanismi di pensionamento flessibile, in grado di rispondere anche a differenti propensioni delle persone, ovviamente in un contesto in cui vi sia un’effettiva corrispondenza tra l’importo della pensione e l’ammontare dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa. Va poi tenuta presente la necessità di mantenere o introdurre forme di solidarietà a carico della fiscalità generale – nei casi in cui il montante contributivo non assicuri un trattamento pensionistico "dignitoso" – a favore, soprattutto, di coloro che hanno avuto una vita lavorativa caratterizzata da rapporti di lavoro discontinui e precari.

Si deve rilevare, in conclusione, che il buon esito dell’obiettivo del prolungamento della vita attiva dei lavoratori anziani non può dipendere solamente da nuove e più rigorose regole in materia pensionistica, ma deve trovare un’adeguata risposta in misure contrattuali riguardanti l’orario, le politiche formative e di organizzazione del lavoro, allo scopo di consentire l’impiego effettivo e proficuo degli anziani, rimuovendo o attenuando, innanzi tutto, gli effetti di eventuali normative discriminatorie, in base all’età sul mercato del lavoro, solitamente definite attraverso l’attenuazione o addirittura l’esclusione di ogni forma di tutela giuridica nel caso di licenziamento di lavoratori che abbiano già maturato il diritto a pensione.

Si tratta di una prospettiva delicata che deve saper contemperare i problemi delle imprese (da incoraggiare con adeguati incentivi) e quelli di lavoratori, ma la questione non può essere elusa. Il rapporto sul mercato del lavoro 2009 del Cnel, indicata per il nostro Paese una prospettiva molto seria sul versante demografico nel prossimo decennio (il medesimo di Europa 2020), prevedendo che usciranno complessivamente dal mercato del lavoro 8 milioni di lavoratori, i quali non saranno sostituiti non solo da nuove leve di cittadini, ma neppure da un più consistente ingresso di lavoratori stranieri.