Come contrastare gli ordigni esplosivi improvvisati?

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Come contrastare gli ordigni esplosivi improvvisati?

21 Agosto 2010

Gian Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis, i nostri due ultimi Caduti in Afghanistan, sono rimasti vittime di quella “rivoluzione dell’artiglieria” rappresentata dagli ordigni esplosivi improvvisati. Ieri “artiglieria” significava far viaggiare nell’aria un proiettile per colpire un obiettivo lontano che stava fermo, mentre oggi l’obiettivo si muove e il proiettile sta lì ad aspettarlo, per scoppiare quando gli passerà vicino. Solo la tragica conclusione è sempre la stessa: vite umane che vanno all’altro mondo.

In termini tecnici questi subdoli proiettili dormienti vengono chiamati “improvised explosive devices”, vengono costruiti artigianalmente, sono composti da una quantità variabile di esplosivo, da materiale contundente inerte di varia natura, da un innesco e da un detonatore. In questo campo non esiste standardizzazione: gli IEDs sono migliaia e migliaia ma non ce ne sono due uguali: possono essere assemblati, mascherati e utilizzati nei modi più vari, comandati per mezzo di cavi elettrici, da raggi infrarossi, da impulsi radio o attivati inconsapevolmente dalle stesse vittime. Sono facili da costruire e da occultare, possono assumere la forma di una roccia, di un pallone da calcio o di una vecchia lavatrice e costano poco, ma gli effetti di questi nuovi “sistemi d’arma” sono devastanti da tutti i punti di vista: tattico, operativo, strategico, mediatico.

Si tratta anche di un’arma psicologica, visto che chi va in pattuglia sa perfettamente che potrebbe saltare in aria da un momento all’altro, e il conseguente logorìo psicologico diventa talvolta insostenibile. Ecco perché gli IEDs sono diventati gli strumenti principali nelle mani dei terroristi che se ne servono nelle guerre asimmetriche. E’ anche vero che quegli ordigni non sono nati oggi ma, al contrario, sono stati impiegati dai “resistenti” anche nel secondo conflitto mondiale, ma in misura molto limitata, visto che gli insorti di allora non controllavano estesamente il territorio e non godevano della libertà di movimento di cui oggi la guerriglia dispone in Afghanistan. Laggiù più di 2.000 soldati della Coalizione hanno perso la vita dal 2003 ad oggi, la maggior parte dei quali proprio a causa di quegli ordigni.

Per contrastare tale fenomeno, ogni paese e ogni organizzazione internazionale fa qualcosa. Il Regno Unito, ad esempio, cerca di mettere in pratica le proprie esperienze acquisite in Irlanda del Nord. L’Italia da parte sua sta istituendo un proprio “centro di eccellenza” presso la Scuola del Genio a Roma, dove anche l’Unione Europea (per mezzo della propria Agenzia Europea di Difesa) condurrà corsi di specializzazione in favore di personale proveniente dai paesi dell’UE. Il tutto a suon di pubblicazioni, acronimi, definizioni, classificazioni, consiglieri legali, cavilli giuridici, regole d’ingaggio, moduli standardizzati, registri, rapporti di fine attività. In una sola parola: burocrazia. Cosa che, forse, nelle guerre asimmetriche non è la carta vincente.

La NATO ha elaborato una strategia contro gli IED basata su quattro pilastri: riempire il vuoto dottrinale in merito allo specifico argomento mediante la stesura di apposite pubblicazioni, combattere il sistema-IED nel suo complesso con la prevenzione e l’intelligence, sconfiggere l’ordigno neutralizzandolo o distruggendolo e incentivare l’addestramento del personale. Ottime intenzioni che però hanno il loro limite nell’intelligence, che in ambito Alleanza Atlantica resta una competenza nazionale che i paesi membri sono riluttanti a condividere.

Anche gli USA procedono per conto proprio, ma con un approccio ben diverso dalla burocrazia europea. La parola d’ordine è “impariamo a pensare come gli insorti”. Si tratta di una interessante iniziativa che intende basarsi innanzitutto sulla mente umana, che è ben superiore a qualsiasi contromisura tradizionale anti-IED come i carri sminatori o i disturbatori di frequenze radio. I soldati americani, in base a questa nuova procedura, vengono addestrati a pensare come gli insorti e ad analizzare il terreno come fanno i terroristi. Così facendo, gli ordigni vengono scoperti in quantità maggiore e il numero di morti e feriti cala sensibilmente. L’addestramento viene condotto presso un “centro di eccellenza” dalle capacità e disponibilità assai superiori rispetto a qualsiasi altro paese alleato, presso il JIEDDO, Joint IED Defeat Organization, mediante simulatori molto realistici costruiti senza badare a spese e ricorrendo anche ad hollywoodiani effetti speciali. Il marchingegno è denominato MCIT, Mobile Counter-IED Interactive Trainer ed è stato realizzato dall’ICT, Institute for Creative Technology dell’Università della Southern California. Attualmente tre apparecchiature MCIT sono state installate rispettivamente a Fort Campbell, Kentucky, a Camp Pendleton, California e a Camp Shelby, Mississippi, al costo di 1,8 milioni di dollari l’uno. La simulazione dura circa un’ora e il sistema è in grado di addestrare un centinaio di soldati al giorno, in maniera molto realistica. Passando attraverso le quattro componenti del simulatore, i soldati si immedesimano nei panni degli insorti, giocano a parti contrapposte e acquisiscono esperienze fondamentali. Indubbiamente il sistema americano, col suo approccio realistico e concreto, risulta molto più efficace rispetto alle dispersive, cervellotiche e burocratiche procedure europee, siano esse adottate da singoli paesi o da organizzazioni internazionali come NATO e UE.

Riusciranno tutte queste misure e contromisure a sconfiggere gli IED? Sarà un’impresa molto difficile, visto che gli insorgenti hanno l’iniziativa, e non solo quella tattica. Loro agiscono e noi ci limitiamo a reagire. E poi l’insorgente è in grado di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, mentre noi facciamo l’esatto contrario. Tanto per rendere l’idea delle differenze di approccio concettuale, il soldato occidentale si allena a compilare complicati e dettagliati rapporti di pattuglia e rapporti di perquisizione di edifici, ben sapendo che in tribunale tali rapporti potranno essere usati contro di lui. Il talebano, invece, filma gli attentati e realizza videocassette che non mancheranno di causare effetti mediatici devastanti sulle pubbliche opinioni dei paesi della Coalizione. In altre parole, noi ci autolimitiamo al campo tattico, mentre il talebano agisce in campo strategico. È evidente che in queste condizioni l’insorgente risulti di gran lunga avvantaggiato.

I fatti e la statistica danno finora ragione agli insorti. La presenza di ordigni sul territorio afgano è in costante aumento sotto tutti i punti di vista: numero di attacchi con perdite, numero di attacchi senza perdite e numero di ordigni scoperti e disattivati. Quest’ultimi, considerando quelli relativi ai mesi di settembre, che statisticamente sono i peggiori dell’anno, sono stati 80 nel 2005, 170 nel 2006, 260 nel 2007, 390 nel 2008 e ben 1400 nel 2009. Se consideriamo tutti i possibili attacchi della guerriglia nelle loro varie forme (IEDs, autobombe, imboscate, ecc…), il loro numero in Afghanistan è aumentato notevolmente di anno in anno. Anche la popolazione civile ne ha sofferto. Il numero complessivo delle vittime è passato da 16 nel 2004 a 279 nel 2005 per poi balzare a 1.473 nel 2006 e per raddoppiare ancora (2.293) nel 2007. Nel 2008 le vittime sono state 3.308 e nel 2009 addirittura 6.037, cifra che purtroppo nel 2010 verrà ulteriormente superata.