Come e perché i sindacati hanno preferito il suicidio
12 Maggio 2008
Esiste davvero “L’altra
casta“ di matrice sindacale di cui Stefano Livadiotti parla nel suo
fortunato libro? Il problema è serio, anche se, indubbiamente, i sindacalisti
non godono dei privilegi dei parlamentari e di quanti prosperano negli anfratti
del sottogoverno.
Le società castali sono sempre organizzate secondo
una particolare gerarchia. Sicuramente i politici godono di modelli reddituali
assai più generosi, ma anche i sindacalisti vivono in una condizione di
separatezza e di autosufficienza che li fa somigliare ad un sistema di persone garantite. Appartengono ad una
casta, dunque, magari con stipendi appena dignitosi, ma con rilevante potere
politico, maggiore certamente di quello di tanti parlamentari peones.
In
generale, i dirigenti sindacali hanno un livello di professionalità più elevata
di quelli di partito (soprattutto se si pensa all’attuale classe dirigente). Ma
sono assai poco innovativi. Se si dovesse fornire una rappresentazione grafica
del rapporto tra sindacati e società, basterebbe fare riferimento all’immagine
di Gulliver (il Paese) imprigionato dai tanti lacci e laccioli degli abitanti
di Lilliput (i sindacalisti).
Del resto ci sono molte spiegazioni del comportamento dei sindacalisti: i migliori
e i più preparati di loro si rendono
conto di difendere posizioni insostenibili, ma sono prigionieri della loro
rappresentanza sociale, composta in prevalenza di categorie e ceti
oggettivamente conservatori.
La grande maggioranza degli iscritti ai sindacati
è in qualche modo “dipendente” dai flussi di spesa pubblica o è occupata
in settori protetti, al riparo della globalizzazione e immanicati con la
politica.
La vicenda dell’Alitalia, una
delle aziende più sindacalizzate d’Italia, può essere una metafora di
tale situazione. La compagnia (che in tanti si ostinano a
definire ‘di bandiera’, come se fossero stimmate, dimenticando che con un
drappo tricolore si possono cucire anche i sospensori) è il prototipo di una
gestione non solo economica e finanziaria, ma anche di potere e di relazioni sindacali
che è divenuta insostenibile da quando il settore del trasporto aereo si è
aperto alla concorrenza.
I sindacati hanno preteso di continuare come se nulla
fosse cambiato e la politica è stata imbelle nel consentirlo. Una linea di
condotta assolutamente priva di prospettive. Il caso Alitalia (speriamo che
Berlusconi si renda conto di quale sciagura sarebbe la ri-nazionalizzazione di
un’azienda decotta!) ha messo in evidenza un certo modo di fare sindacalismo
nei settori pubblici e parapubblici.
Ecco perché Stefano Livadiotti ha compiuto
un’operazione verità che può essere utile anche al sindacato, se vuole
cambiare. E deve riuscirci perché la democrazia non può fare a meno di
organizzazioni sindacali libere e autonome.
La crisi ha inizio quando il sindacato
ha preteso – diventando l’azionista di riferimento del centro sinistra nel
sistema politico bipolare – di continuare a svolgere un ruolo di carattere
generale mentre in realtà le sue scelte erano sospinte da interessi importanti
ma particolari. Oggi il potere sindacale è come ibernato nella rete dei diritti
di agibilità politica di cui dispone.
Che sono la sua vera rendita di
posizione.
Ma spesso è vissuto come un secondo padrone nei luoghi di lavoro in
cui è presente, mentre è sconosciuto e assente nella grande maggioranza delle
imprese. Ormai sono completamente scomparse e non vengono più praticate attività volontarie di ogni tipo. Anche i
sospiri sono retribuiti. Centinaia di migliaia di attivisti svolgono il loro
ruolo durante l’orario di lavoro, pagati dalle aziende.
Nella pubblica
amministrazione vi sono più di 3mila distaccati, tuttora a libro paga
degli enti. Costoro percepiscono persino
le voci legate alla produttività e percorrono un tragitto di carriera senza mai
lavorare, ma facendo i sindacalisti a tempo pieno. Che cosa possono pensare gli
altri lavoratori di questa burocrazia che evoca il socialismo reale, che nelle
pubbliche amministrazioni impone i propri iscritti in tante posizioni chiave,
persino di direzione generale?
Chiunque
volesse capire la denuncia di Livadiotti potrebbe togliersi lo sfizio di
recarsi all’Inps, dove le cd parti sociali si spartiscono 6mila poltrone in più
di 900 organi collegiali. Magari i componenti percepiscono poche decine di
euro come medaglie di presenza, ma esercitano un controllo capillare sulla
società e sul sistema produttivo.