Come e perché l’Italia è sopravvissuta al più alto debito pubblico d’Europa

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Come e perché l’Italia è sopravvissuta al più alto debito pubblico d’Europa

Come e perché l’Italia è sopravvissuta al più alto debito pubblico d’Europa

14 Aprile 2011

Tutti parlano di debito, tutti sognano di ridurlo. Il presidente della Repubblica Napolitano, il premier Berlusconi, il ministro dell’economia Tremonti che invoca una "legge costituzionale" pur di riuscirci. Secondo il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, da una serie di "esercizi econometrici" risulta che per centrare l’obiettivo servirebbe una crescita del 2% annuo. Ma in realtà nessuno ha la bacchetta magica per domare "la bestia", siamo il Paese con il più alto debito della zona euro, l’ottavo al mondo.

Messa così dovrebbe prenderci una colossale strizza, la certezza di finire nella "blacklist" dei Paesi a rischio bailout, insieme a Portogallo, Belgio, Spagna, qualcuno ci mette dentro anche l’Austria, dopo i rovinosi fallimenti di Grecia ed Irlanda. Tanto più che la crescita invocata da Draghi ci sarà pure ma non si vede, gli investimenti infrastrutturali languono (non siamo mai stati bravi a sfruttare i finanziamenti europei, per la solita paura di aumentare il debito), mentre il "nero" e l’evasione rimangono fattori distorsivi della nostra economia.

Last but not least, negli ultimi anni è aumentata esponenzialmente la quota del debito nella mani degli investitori stranieri (la Francia innanzitutto, che ne detiene il 30%), all’incirca la metà del totale. Con la differenza che se il debito dello stato verso le famiglie è in qualche modo governabile, quello verso l’esterno è molto più rischioso, perché non è detto che alle scadenze i creditori rinnovino i vari Bot, Cct, eccetera. Per tutte queste ragioni, il Financial Times ci ha definito la "balena" in grado di mettere a repentaglio l’esistenza dell’euro: nei grandi casinò di Las Vegas "la balena" è quello scommettitore che può al tempo stesso sbancarti o finire in mutande.

L’Italia sembra quindi camminare sull’abisso, eppure… in fondo ci siamo abituati. In un contesto globale in cui, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il debito mette a repentaglio la stabilità economica di un numero sempre maggiore di Paesi, in testa gli Stati Uniti, in fondo noi con la "bestia" ci facciamo i conti da decenni, dagli anni Sessanta e ancor di più nel "decennio terribile" tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, il grande male. Anche adesso, mentre le economie di tanti Paesi europei traballano, non stiamo peggio di altri.

Che cosa ci ha salvato finora? Il risparmio privato, per esempio, quel "welfare familiare" che in un certo senso può essere interpretato come una forma di risarcimento delle vecchie e più fortunate generazioni verso i giovani sfigati che non vedranno mai l’alba della pensione. Oppure il nostro sistema bancario, solido e che si sta rafforzando grazie agli aumenti di capitale, convincendo anche gli investitori più scettici (altrove è dalle banche che è partito lo stampede). O ancora le esportazioni, quel Made in Italy che continua a essere un mercato che "tira", il nostro fiore all’occhiello, anche se, a voler essere pignoli, converrebbe chiedersi se i brand più a la page, pensiamo alla moda, siano ancora proprietà italiana o già nelle mani di chissà chi.

E se volessimo proprio esagerare, per tornare a quegli elementi di distorsione che dicevamo prima, aggiungiamo pure che l’evasione fiscale – sicuramente un elemento patologico del sistema – in qualche modo ha garantito delle "riserve di grasso" in tempi di vacche magre. Tassare i grandi e piccoli patrimoni finanziari sarebbe un modo per combattere il debito, certo, ma nessun politico dotato di senno, oggi, punta al rialzo del fisco per farsi eleggere.

Insomma, se il debito è stato ed è senz’altro un problema di lungo periodo della nostra economia, è anche vero che non ci ha ancora stritolati. Una buona dose di menefreghismo creativo, passateci l’espressione, ci ha consentito, e ci consente, di vivere pericolosamente (siamo degli artisti in materia) anche davanti alle peggiori crisi internazionali. Ma non illudiamoci di essere sempre così fortunati. A rifletterci su con più razionalità, rispetto al passato è diventato più difficile fare i furbi con i parametri della Ue o con i grandi processi messi in moto dalla globalizzazione, con cui dobbiamo, una volta per tutte, fare i conti.