Come i bimbi di Tolosa, Ilan Halimi aveva una sola colpa: esser ebreo

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Come i bimbi di Tolosa, Ilan Halimi aveva una sola colpa: esser ebreo

22 Marzo 2012

Nel 1791 Stanislas de Clermont-Tonnerre, un nobile liberale francese, in pieno dibattito rivoluzionario sull’emancipazione affermava: “Daremo tutto agli ebrei come individui, e nulla come nazione” ebraica. Bello il tempo pre-terrore. Quante belle speranze. Ah, l’universalisme Rèpublicain! Duecento vent’uno anni dopo, la Francia se ne riempie ancora la bocca e agli ebrei il governo francese non riesce a garantire neanche la sicurezza dei loro figli nel tragitto tra la loro casa e la scuola.

L’antisemitismo cinquième République non è un fenomeno da poco in Francia e non nasce di certo con l’attacco alla scuola di Toulouse di due giorni fa. Certo, se paragonato ai danni dal collaborazionismo francese sotto l’occupazione dei boche – così i francesi chiamavano e chiamano ancora i nazisti tedeschi – e i morti ebrei che durante la shoa furono mandati a morire dai burocrati di Vichy, il fenomeno antisemita di Francia degli ultimi cinquant’anni e più – e anche da quello degli ultimi tre giorni – appare piuttosto limitato. Ma non si creda: non meno efferato.

Il caso di Ilan Halimi, il giovane 23enne che nel 2006 fu rapito da un gruppo di delinquenti di quartiere perché ebreo (e dunque ricco), è uno di quei lugubri fattacci per crudeltà in tutto simile all’affare del Dottor Petiot, cronache di un antisemitismo che Oltralpe è duro a morire e che, nelle pieghe di periferie francesi multi-etniche e sempre più islamizzate, si fa aggressivo sebbene non (ancora) politico come lo fu in passato nella destra nazionalista francese.

Ilan Halimi è un giovane ragazzo, dal viso onesto, lavora già e ha una piccola vettura. Gestisce un piccolo negozio di telefonia. Classe media della comunità ebraica dell’Île-de-France. Ma nel codice dell’apparenza e dei suoi stereotipi della banlieue di Parigi, il corredo è già abbastanza per sollevare nel resto della comunità locale invidia e perché no, un filo di odio. In verità Ilam è figlio di una degna e modesta famiglia d’origine marocchina. Nessuna grande ricchezza. Stessa periferia e stesso ceto sociale. Ma ha l’aggravante Ilam: è ebreo.

Lo stereotipo è uno di quelli di sempre: “E’ ebreo e dunque avrà i soldi”, come affermerà il 21 Febbraio 2006, l’allora ministro dell’interno francese, Nicolas Sarkozy durante un’interrogazione all’Assemblèe Nationale, la camera bassa del Parlamento francese, riferendosi al caso Halimi. Andiamo per ordine. I malfatti della ‘gang dei barbari’, come verrà ribattezzato dai giornali e dalle autorità il gruppo di rapitori capeggiati Youssouf Fofana, risalgono alla notte tra il 20 e il 21 Gennaio 2006.

Ilan Halimi viene adescato dalla ‘gang’, rapito e costretto per tre settimane in un garage di uno dei ‘recinti’ popolari (e très Rèpublique sociale), l’HLM di Bagneux. La gang tortura Halimi, lo costringe a vivere come un maiale, tra sacchetti di feci e bottiglie di urina; gli spengono le canne in fronte, lo seviziano, gli applicano dell’acido sul corpo. Lo fa mentre chiede alla famiglia un riscatto. Ma poi non se ne fa più nulla. 

Lo abbandoneranno al margine di una ferrovia, agonizzante, tre settimane dopo. E’ il 13 Febbraio 2006. Ritrovato dalle autorità, morirà all’ospedale qualche ora più tardi. Come affermerà la madre di Ilan, Ruth Halimi, in un’intervista al quotidiano di sinistra israeliano Haaretz, “se non fosse stato ebreo, non lo avrebbero ucciso”. 

Nel tempo della cattività, le autorità poliziesche non battono subito la pista antisemita sul caso. E quando Ruth Halimi farà pubblicare il libro scritto a quattro mani con Emilie Freche, “24 Jours” (questi i giorni di prigionia di Ilan), se la prenderà apertamente con le autorità investigative per non aver capito che il rapimento aveva una dimensione apertamente antisemitica. 

L’antisemitismo è un tema caldo in Francia (dal 2004 esiste “l’aggravante d’antisemitismo”). La classe politica francese, quella che rivendica lo nozione di droits de l’homme per intenderci e che nega la dimensione politica delle religione (cristiana) – “la France dans l’Histoire” diceva il Gen. De Gaulle -, non ama esser destata dal torpore della superiorità civilizzatrice e accorgersi d’avere delle metastasi del vecchio male d’Europa proprio nelle pieghe delle sue periferie, di quella nouvelle France che sta ridisegnando il volto demografico, sociale e soprattutto religioso delle città medie e grandi francesi.

Bisognerà attendere il macabro ritrovamento del 23enne perché sul caso cada il filtro pubblico dell’antisemitismo appunto. Youssouf Fofana, il capo della ‘gang’, datosi nel frattempo alla terra dei padri, la Costa d’Avorio, inizia ad interpretare la parte dell’islamista, del salafita, del pro-palestinese (alla prima udienza in Francia, con il ditino al cielo affermerà che ‘allah trionferà’).

L’ignorante nero che va in moschea e che si nasconde nel quartiere islamico di Abidjan, verrà arrestato nella capitale ivoriana, per poi essere ricondotto in Francia. Non prima però d’aver chiamato dalla capitale del paese West africano il padre della vittima, per chiedergli se era contento della morte del figlio, e poi la fidanzata del ragazzo ucciso, per riempirla di minacce.

In totale diciannove persone saranno rinviate a giudizio nel processo che seguirà il ritrovamento di Ilan. Bianchi, arabi, neri. Più o meno maggiorenni all’epoca dei fatti. La composizione sociale della gang era plurima, così come le identità religiose che ivi vi convivevano. In un’intervista che Fofana rilascerà già agli arresti in Costa d’Avorio e in attesa del ritorno in Francia, ad un inviato di iTele, una all-news d’Oltralpe, alla domanda del giornalista che gli parlava di ‘gang dei barbari’, il sospettato e sorridente Fofana, affermava “gang è una parola grossa”.

La “reductio ad gang”, questa tendenza a fare del banditismo la causa della morte di Ilan e a cui il dibattito francese aveva ceduto nei primi tempi del processo, è una buona misura di come i media, la politica, la giustizia e le professioni francesi fossero incapaci – e forse ancora lo siano – di riconoscere un semplice e atroce atto antisemita, uno di quelli che in Europa (e nella rispettosissima Francia soprattutto) è ancora inestirpabile moneta corrente. La forza civilizzatrice della rivoluzione dovrà attendere.

Nel frattempo, Ilan Halimi, così come i bambini di Toulouse, non riposeranno in Europa ma in eterno nella loroa patria: Israele. Qui in Europa i governi non sanno garantire alle genti ebraiche neanche un caffè in santa pace, figuriamoci il riposo della tomba. L’Europa ha un problema. C’è l’ha da tanto. E’ ora che reagisca e vi metta mano, soprattutto se le sue genti islamiche continueranno, ahinoi, ad aumentare come sembra.