Come i vulcani influenzano la geopolitica
01 Maggio 2010
Se l’impronunciabile vulcano islandese Eyjafjallayokull avesse eruttato durante la seconda guerra mondiale, avrebbe potuto mutare l’andamento del conflitto. Nell’estate del 1940, ad esempio, la sua nube di cenere avrebbe ostacolato lo svolgimento della “battaglia d’Inghilterra”. Se la nube avesse avuto la stessa diffusione geografica di oggi, non avrebbe potuto risparmiare la distruzione dell’abbazia di Montecassino da parte degli alleati nel febbraio 1944, ma esattamente un anno più tardi avrebbe impedito il bombardamento angloamericano di Dresda.
Allo stesso modo, quella nube fra il mese di giugno 1944 e il marzo 1945 ben poco avrebbe potuto fare contro quegli antenati dei missili balistici che erano le V2 di Hitler lanciate sul Regno Unito, ma avrebbe neutralizzato le V1 bloccando il funzionamento dei pulsoreattori che le facevano volare verso Londra.
Anche durante la guerra fredda un’eruzione simile con il conseguente rilascio nell’atmosfera di una gigantesca nube avrebbe potuto ostacolare o impedire una ciclopica impresa come il ponte aereo per Berlino, messo in atto dagli Americani e dagli alleati occidentali fra il giugno 1948 e il maggio 1949 per soccorrere la capitale tedesca affamata dai Sovietici.
Nella pacifica e un po’ ritardataria primavera del 2010, invece, quel vulcano si è “accontentato” di sconvolgere il traffico aereo cancellando migliaia di voli civili principalmente in Europa ma anche in altri continenti, di lasciare a terra centinaia di migliaia di passeggeri e di impedire la presenza di numerosi capi di stato e di governo alle esequie del Presidente polacco Lech Kaczynski.
Ma quasi due secoli fa un vulcano indonesiano superò se stesso: determinò il nuovo ordine europeo. Nell’aprile 1815, infatti, l’eruzione disastrosa del vulcano Tambora, sull’isola di Sumbawa a un migliaio di chilometri da Giakarta, uccise circa diecimila persone e nei tre mesi successivi ciò che restò del Tambora (prima dell’esplosione misurava 4.000 metri di altezza, dopo solo mille) fu sconquassato da tremende esplosioni, terremoti e lanci in aria di cenere, lapilli e bombe vulcaniche. La cenere più pesante si depositò su un’area di due milioni e mezzo di chilometri quadrati e quella più leggera salì nell’atmosfera e nella stratosfera e fece il giro del mondo. In Europa la nube oscurò il sole per mesi, la temperatura si abbassò e continui temporali si abbatterono sulla parte centro-settentrionale del vecchio continente. Nei due anni successivi tutto questo determinò pesanti mutamenti climatici in Nordamerica e una gravissima carestia in Irlanda, dove i mancati raccolti di patate causarono un’ecatombe ed un notevole flusso migratorio oltre Atlantico.
Una significativa conseguenza geopolitica ebbe luogo il 18 giugno 1815 a Waterloo, dove si fronteggiavano l’esercito francese e quello anglo-prussiano. Il gioiello di Napoleone era la cavalleria leggera, abile a manovrare velocemente su qualsiasi campo di battaglia, gettare il panico fra gli avversari, sorprenderli e sconvolgerne gli schieramenti. Di solito a metà giugno il terreno delle campagne attorno a Bruxelles è asciutto e ben si presta alle manovre militari, ma quel giorno la cavalleria napoleonica si presentò all’appuntamento con un fatale ritardo, proprio a causa del fango provocato dalle piogge, impreviste e incessanti, dei giorni precedenti. Dato il ritardo con cui il generale Ney schierò la cavalleria, peraltro incapace di manovrare nel fango, Napoleone fu costretto ad attaccare Wellington con cinque ore di ritardo: non alle sette del mattino, come avrebbe voluto, ma a mezzogiorno, ora entro la quale aveva previsto la vittoria.
Un altro punto di forza di Napoleone era l’artiglieria. I cannoni dell’epoca sparavano palle di ferro ad alzo zero contro i compatti schieramenti avversari e i proiettili rimbalzavano varie volte sul terreno asciutto prima di fermarsi, come fanno i sassi piatti lanciati sulla superficie dell’acqua. Ma prima di fermarsi, i proiettili scompaginavano i battaglioni nemici seminandovi morte e distruzione. Quel giorno, invece, l’artiglieria napoleonica fu totalmente inefficace: appena le palle di cannone toccavano il terreno fangoso, vi affondavano immediatamente senza provocare alcun danno. Fu così che Napoleone venne sconfitto e costretto all’esilio, più per colpa del vulcano Tambora che per merito degli Anglo-prussiani.
Se il Tambora cambiò la storia, il vulcano filippino Pinatubo, con la sua disastrosa eruzione del giugno 1991, la più devastante del ventesimo secolo, rischiò di farlo. Oltre a un migliaio di morti, un milione di senzatetto, disastri ambientali e miliardi di dollari di danni, le conseguenze politico-militari furono enormi. Nell’area erano presenti due grosse basi militari statunitensi: quella navale di Subic Bay a 75 chilometri a sudest del vulcano e la base aerea Clark, a meno di 25 chilometri a est del fatale cono. Appena iniziata la spaventosa eruzione, fu chiaro che l’unica opzione era la fuga. Gli Stati Uniti diedero luogo ad un urgente e massiccio trasferimento aereo di personale e materiali verso la madrepatria e verso altre basi militari nel Pacifico come Guam, Okinawa e le Hawaii. La base aerea Clark (ampia ben 633 chilometri quadrati, costruita nel settembre del 1903 subito dopo la guerra ispano-americana con cui gli USA strapparono le Filippine alla Spagna), colpita in pieno dalla gigantesca pioggia di cenere, fu devastata e restò inutilizzabile, mentre la base navale di Subic Bay, colpita solo marginalmente, l’anno seguente fu consegnata al governo filippino.
L’eruzione causò un’enorme nuvola che portò le sue ceneri verso nord fino alla Russia e verso nordest fino all’America settentrionale. In altri tempi la mega-nuvola avrebbe interdetto le attività aeree che gli Americani effettuavano dalla base aerea Clark per supportare le operazioni nella seconda guerra mondiale e nella guerra del Vietnam. In particolare, se l’evento si fosse verificato nell’agosto del 1945, avrebbe impedito la missione del bombardiere statunitense “Enola Gay” che decollò dalle Isole Marianne per portare un ordigno atomico sul cielo di Hiroshima.
Oggi la minaccia delle eruzioni vulcaniche con il loro seguito di effetti devastanti quali terremoti, nubi di cenere e tsunami, comincia a preoccupare seriamente gli Americani, che hanno dato vita ad un programma dal nome eloquente: Volcano Hazards Program. Il timore è che anche la base aerea Andersen dislocata a Guam possa fare la stessa fine della base aerea Clark. E’ per questo che un gruppo di esperti di due enti altamente qualificati (l’US Geological Survey, USGS e la Southern Methodist University, SMU) ha intrapreso un progetto biennale del costo di 250.000 dollari per monitorare gli eventi sismici della regione attorno all’arcipelago delle Marianne e per creare un sistema di allerta precoce. Il progetto prevede una rete di apparati ad ultrasuoni, sismografi e sistemi di posizionamento globale già utilizzati con successo per scoprire eventuali esperimenti nucleari clandestini e oggi riconvertiti in funzione anti-vulcani.
La particolare attenzione dedicata al destino della base di Guam è spiegabile con la sua notevole importanza strategica, dal momento che rappresenta il migliore trampolino di lancio per la potenza aeronavale americana nello scacchiere del Sud-Pacifico. Le probabilità di eventi significativi sono tutt’altro che remote, visto che ben nove delle quindici isole Marianne hanno sul loro suolo vulcani attivi e che un’eruzione si verifica in media ogni cinque anni. Altri studiosi sono meno pessimisti e fanno notare che nell’area le ultime eruzioni vulcaniche disastrose risalgono al Miocene, ma i militari preferiscono organizzarsi per fronteggiare lo scenario peggiore e non dimenticano che nel 2005 le ceneri dovute all’eruzione del vulcano Anatahan, duecento miglia a nord di Guam, causarono la temporanea chiusura dell’aeroporto della base Andersen.
E’ sconcertante pensare che le capacità di proiezione di forza della superpotenza americana nel Pacifico possano essere rese aleatorie e precarie dalle attività dei vulcani, emersi o sottomarini, attivi o dormienti. Anche le normali attività addestrative vengono condotte sotto la spada di Damocle del vulcanesimo: le esercitazioni a fuoco vengono condotte sull’isola Farallon de Medinilla, peccato che il già citato vulcano Anatahan si trovi proprio lì. E per condurre esercitazioni di sbarco anfibio nessuna area addestrativa è migliore dell’isola di Pagan, peccato che proprio lì ci siano un paio di sgraditi ospiti: due vulcani attivi.