Come la sinistra e i benpensanti hanno favorito il nuovo schiavismo
28 Novembre 2008
Siamo diventati ciechi di fronte ai nostri nuovi schiavi, eppure ce li abbiamo sotto gli occhi: non possiamo dire “non lo sapevo”, perché siamo proprio noi europei a sfruttarli, servendoci delle prostitute straniere e utilizzando manodopera illegale. Com’è possibile tutto ciò?
Fino all’Ottocento persone pure civili e timorate di Dio faticavano a concepire come reato ciò che invece ai giorni nostri appare abominevole scandalo. Che milioni di persone fossero totalmente private dei più elementari diritti umani, e soggette a violenze d’ogni tipo, non turbava le coscienze morali dei più, e questo semplicemente a causa di una pigrizia intellettuale vecchia di millenni basata su ipocrisia ed egoistico tornaconto. Fu così che l’Europa, l’America, il Sud Africa poterono per secoli sfruttare indisturbati generazioni di schiavi senza alcun senso di colpa.
Nessuno s’era mai posto il problema, a nessuno conveniva ammettere che si trattasse d’esseri umani, ma soprattutto nessuno voleva perdere i propri privilegi. Fino a che in America prima e in Europa dopo qualcosa cambiò. Nel frattempo c’era stato l’Illuminismo, le rivoluzioni sociali, la democrazia, e un nuovo cristianesimo umanistico. La schiavitù via via scomparve, e la sua idea venne talmente vituperata da sviluppare finalmente una cultura che sentisse come un’oscenità qualsiasi sfruttamento umano (addirittura animale).
Tuttavia oggi, nel
Ma, benché terribile, il grosso del problema non arriva dal mare e dagli scafisti. L’orrore di questo nuovo corso storico dei mercanti di schiavi contemporanei percorre le autostrade europee, scende tranquillamente dai pullman, si confonde in quartieri degradati e pensioni d’infima categoria. I nostri schiavi non sono robusti mandingo inviati alle piantagioni, bensì giovani donne e bambini destinati alla prostituzione e al lavoro illegale. Il dolore per queste vite senza speranza è il medesimo di tutti i tempi.
Esiste una parte dell’Europa onesta, sostenuta da meritevoli idee delle sinistre, che però ha la responsabilità d’aver favorito il nuovo schiavismo nelle nostre città credendo in buona fede di sostenere le popolazioni più deboli, aiutando l’integrazione verso il progresso e il miglioramento della vita. In realtà chi ne approfitta sono solo i delinquenti mercanti di uomini. Così gli ordinamenti si sono aperti a flussi migratori incontrollati, si sono vanificate le procedure di sicurezza a tutela degli individui, s’è lasciato campo libero agli schiavisti.
Luigi De Ficchy è un magistrato della Direzione Nazionale Antimafia, esperto di criminalità internazionale; in un suo dossier si legge che i rapporti degli ultimi anni del Dipartimento di Stato Usa sul traffiking contano al mondo oltre un milione di persone schiavizzate e soggette a tratta, per un giro d’affari di dieci miliardi di dollari all’anno. L’Europa occidentale è una meta privilegiata per il traffico di schiavi. Ciò è dovuto alla mal riposta ideologia libertaria che si è sviluppata nei paesi europei per cui occorre al più presto far circolare liberamente non solo le merci, ma anche le persone e fra esse i delinquenti, e quante più nazioni dell’Est europeo o asiatico entreranno a far parte dell’Occidente europeo tanto più si sarà ottenuta giustizia, libertà, democrazia. Non capendo come ci sia stata un’inversione fra cause e conseguenze.
I dati sono disponibili. C’è una sinergia profonda fra le organizzazioni criminali europee (italiane) e straniere, con l’unico scopo di violentare l’esistenza a centinaia di migliaia di donne e bambini per i propri affari sporchi. Ognuna di queste vittime ha in fondo alla sua sorte solo una morte crudele, subito sostituita dall’arrivo di un altro soggetto. Il terreno fertile per tale tipo di scelleratezza è dato dalla profondissima arretratezza culturale e sociale dei paesi di provenienza dei trafficanti, i medesimi delle loro vittime. Quattro sono le “criminalità etniche più caratterizzate per il proprio modello culturale di base – spiega De Ficchy – la rumena, l’albanese, la nigeriana, e la cinese”. Tutte presenti in Italia. “La condizione di assoluta sottomissione delle vittime – continua il magistrato – fa ritenere perfezionati i delitti di riduzione in schiavitù e di tratta delle persone”, senza considerare le violenze fisiche cui sono sottoposte.
Criminalità rumena. È in rapida espansione a causa del recente ingresso della Romania nell’UE, potendo ora circolare liberamente quanti prima erano in condizioni di clandestinità. “I gruppi criminali rumeni sono dediti in prevalenza alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione di connazionali, spesso minorenni”. Prelevate in zone povere con la promessa d’un lavoro semplice, le ragazze vengono comprate dai padri e inizia così il loro calvario. Un perfetto sistema di trasporto segreto in pullman attraverso l’Europa le consegna nelle varie destinazioni, prive di denaro e di documenti, in balia di varie sotto-organizzazioni. Sistematicamente picchiate, violentate, minacciate di morte, vengono costrette a prostituirsi, segregate nelle case, fatte abortire. Se sono individuate dalla Polizia, sono subito trasferite in altre località e sostituite.
Criminalità albanese. È la più feroce e pericolosa, composta da gruppi autonomi presenti su tutto il territorio italiano ma privi d’una struttura verticistica. “Le donne albanesi sono spesso gestite da parenti e fidanzati, costrette con la forza a prostituirsi, private dei loro passaporti e ridotte a vite massacranti con la minaccia anche di ritorsioni sui parenti in patria. Se si ribellano vengono picchiate selvaggiamente e a volte uccise. Sono obbligate a prostituirsi anche in gravidanza e ad abortire ripetutamente. Ovviamente ogni guadagno viene loro strappato via”. La pratica di trasformare le proprie donne in prostitute e sfruttarle senza alcuna compassione ha la sua radice culturale in un codice orale albanese del 1400, il Kanun, tramandato di padre in figlio. Si tratta di una raccolta di norme consuetudinarie primitive, basate sulla legge del taglione. Il problema è che tale codice è stato recepito perfino dallo Stato albanese con un decreto legge del 1928, legalizzando la vendetta e la totale sottomissione della donna al marito. Nella cultura albanese appare normale che “la donna possa facilmente divenire oggetto di traffico e motivo di guadagno”.
Criminalità nigeriana. Sono gruppi divisi sul territorio italiano ed europeo in base alla frammentazione tribale esistente nel paese d’origine, ma collegati fra loro. L’attività principale è la gestione del flusso migratorio dalla Nigeria e dai paesi limitrofi. Sono forse i meno cruenti fra i delinquenti. “Le donne spinte dal bisogno contraggono un patto con un protettore che fornisce il passaporto. La donna si prostituirà fino a corrispondere la somma con cui potrà procedere a riscattare la propria libertà, ma a volte chi la sfrutta la cede a un’altra organizzazione, così la vittima deve procurarsi una somma ulteriore per il proprio riscatto. Per la ragazza nigeriana esiste una forza costrittiva costituita dai riti voodoo ancora molto usati in Nigeria: se non terrà fede alle sue promesse la sua famiglia e lei stessa sarà oggetto di riti magici”. Naturalmente rimane sempre l’opzione della coercizione violenta. Particolarmente importante la presenza delle reti nigeriane a Caserta, territorio controllato dal clan dei Casalesi, cosca camorristica coinvolta nel racket.
Criminalità cinese. La sua dimensione è imponente; numerose organizzazioni gestiscono capillarmente l’immigrazione clandestina dei propri connazionali, utilizzando solo documenti falsi e corruzione burocratica. Originari in massa dalla provincia povera e agricola dello Zheyang, questi cinesi hanno sempre vissuto secondo codici consuetudinari da cui lo Stato è escluso, quindi anche nei paesi in cui emigrano non riescono a integrarsi con le strutture e le norme sociali. Le vittime vengono taglieggiate in situazioni di lavoro nero e condizioni di vita miserabili. “Pur di sottrarvisi, molti clandestini accettano d’entrare a far parte delle organizzazioni criminali”.
Per quanto riguarda l’Italia, l’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Perugia ha individuato una struttura molto articolata fra Umbria, Lazio e Toscana, legata alle cosche ucraine e russe. I transiti principali per le schiave della prostituzione sono il confine sloveno-italiano, i valichi del Tarvisio e del Brennero, le rotte dalla Libia e dalla Grecia, il canale d’Otranto. Insomma, di fianco a noi Occidentali c’è un intero popolo sommerso, appartenente a molteplici etnie, un popolo di ragazze e di bambini privati d’ogni diritto, seviziati, brutalizzati, sfruttati e uccisi.
Il problema presenta varie prospettive. Dal lato giuridico, è fondamentale recepire questo fenomeno come unitario e non come reati separati (documenti falsi, induzione alla prostituzione, riduzione in schiavitù, immigrazione clandestina, stupro, eccetera). Solo in questo modo si può considerare la natura associativa e transnazionale del reato, contemplandolo come “fenomeno tratta”. Dal punto di vista politico, occorre poi evitare gli atteggiamenti propagandistici, e concentrarsi invece su una visione globale del problema immigrazione, studiandolo, come dice Carlo Panella, in tutti i suoi aspetti che in Italia sono ancora confusi.
Sotto il profilo burocratico, è necessaria una assai maggiore vigilanza nelle ambasciate e consolati europei, dove a volte si verificano connivenze, superficialità e corruzioni negli stessi uffici di concessione visti (in Romania davanti alle ambasciate europee ci sono roulotte dove vengono rilasciati i falsi visti). Infine c’è un aspetto ideologico: entrare in Europa non dev’essere una qualifica derivante in primis dal livello economico di uno Stato cui seguirà la sua democratizzazione, bensì il contrario. Ed essere uno Stato democratico significa garantire ai propri connazionali legalità, sicurezza, e diritti umani. Sino a che certi Stati orientali restano lontani da questi parametri, non compiendo sufficienti sforzi attivi per combattere al proprio interno corruzione e delinquenza, diventando invece fucina di imprese criminali indisturbate, allora non è tollerabile che tali Stati possano entrare nella UE qualificandosi come democrazie europee.