Come rimettere in sesto l’Italia mentre l’Europa traballa
31 Marzo 2017
di Daniela Coli
“Salviamo la Ue dagli ‘europeisti’” è il titolo dell’editoriale del Sole 24 Ore di Luigi Zingales in occasione del 60° anniversario del Trattato di Roma, ma, aggiungiamo, rimettiamo in sesto l’Italia, perché si era europeisti nella speranza che il ‘vincolo esterno’, cioè le regole per imbrigliare le politiche fiscali dei Paesi membri, costringesse la politica e la società italiana a cambiare. Dopo più di vent’anni la situazione è peggiorata (basta pensare al debito) e neppure la Ue sta tanto bene, aumenta l’euroscetticismo e il Regno Unito ha scelto Brexit. Per Zingales l’Inghilterra se n’è andata dall’Europa non perché contraria al libero scambio, ma perché era contraria alla totale libertà di immigrazione della Ue. Il Regno Unito dagli anni ‘60 ha una propria e grande immigrazione dalle ex-colonie e non voleva riempirsi di gente sbarcata a Lampedusa o in Grecia, né di immigrati europei. A differenza dell’Italia che ha sempre il problema di inserirsi in Europa, gli inglesi dal ‘500 si sono staccati dal Continente e si sono proiettati nell’Atlantico e nel Pacifico.
Si è accarezzata l’idea di un Regno Unito a capo dell’Europa, ma l’Inghilterra si è sempre mossa per conto suo e con vaste coalizioni ha sempre sconfitto – da Napoleone a Hitler – chiunque avesse in mente di unificare l’Europa. Questo avrebbe dovuto dire qualcosa ai famosi padri di Ventotene. Chissà se ai sognatori di Ventotene è mai venuto in mente che quando Napoleone arrivò in Egitto, a fronteggiarlo trovò Nelson che distrusse la flotta francese. L’Ue ha iniziato a perdere consenso nell’Europa occidentale già con l’allargamento a 27, perché a ottenere vantaggi erano i paesi della Europa orientale, che inviavano migranti a ovest, che mandavano rimesse a casa e preoccupavano i nostri lavoratori, mentre le nostre imprese andavano a produrre nell’est, lasciando i disoccupati da noi. Mentre si magnificava il liberalismo, qualcuno intanto stava comprendendo i problemi degli uomini e delle donne dimenticati, da qui il successo delle forze euroscettiche. Trump ha vinto perché ha promosso di riportare il lavoro in America. E’ accaduto anche con la Cina, dove si è creata una classe media cinese a danno del lavoro americano. I paesi dell’Europa orientale non si sono fatti marchiare dall’euro, come dicono loro, e non accettano migranti che arrivano dall’Africa o dal Medio Oriente.
Nella Ue, oltre al conflitto tra est e ovest, c’è quello tra nord e sud Europa. Dopo avere perso il Regno Unito, la Ue vede un avversario anche nell’America perché non vuole provvedere alla propria difesa, perché a noi – come dice Renzi a un Pd votato da insegnanti, borghesia intellettuale e funzionari pubblici – interessano solo la cultura e i beni culturali. E anche la Russia è ormai un nemico, perché simpatizza con Trump, Le Pen e Salvini. Ha senso per l’Italia attaccarsi alla Germania, quando la Germania non ha alcuna voglia di diventare leader degli Stati Uniti d’Europa, né di addossarsi i debiti italiani e francesi? E’ naturale che Brexit e Trump stringano alleanza guardando alla Russia con cui hanno vinto la seconda guerra mondiale. La situazione per noi è preoccupante, perché, mentre la Germania può tornare tranquillamente al marco e vivere bene, come ha fatto per secoli, noi siamo sempre più deboli e indebitati, con classi politiche illuse di poter tirare a campare o movimenti che vorrebbero fuggire dall’Europa, ma ancora non hanno chiaro come rimettere in sesto l’Italia. Il problema principale è rimettere in sesto il paese, qualsiasi cosa accada.
L’Italia è un paese di persone avanti negli anni e queste persone sono legate ai sogni del passato e, in molti casi, tirano a campare. Se ci preoccupiamo di conservare i nostri beni culturali (si parla perfino di patriottismo culturale), dovremmo preoccuparci di conservare almeno gli italiani e fermare la crisi demografica. Occorrono politiche mirate per favorire le nascite che coinvolgano tutte la società e le istituzioni, e porsi il problema, come Trump, di fare pagare dazi ai prodotti delle imprese che producono all’estero. Se diminuiamo le tasse alle imprese che producono in Italia, dobbiamo fare pagare dazi a chi produce all’estero: l’America di Trump è un modello per dare lavoro alla nostra gente. Bisogna anche capire che l’Italia rischia di disintegrarsi se continuiamo a chiedere ai veneti di pagare tasse e non avere ritorni, e permettere, come ha osservato Palo Mieli, di non pagarle alla Sicilia. Affrontare questi problemi, significa cambiare la classe politica, che non funziona neppure in regioni “virtuose” come la Toscana: basta pensare al Monte dei Paschi. Ma non bastano comizi sovranisti o V-Day, abbiamo bisogno di una nuova classe politica competente e capace di parlare con franchezza al Paese dei grandi problemi che dobbiamo affrontare e risolvere insieme, per stare in piedi, qualsiasi cosa avvenga in Europa.
Dopo tanta retorica, è necessario cominciare a parlare come si parla in famiglia, quando la barca comincia a fare acqua.