Come risolvere il problema di Gaza?

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Come risolvere il problema di Gaza?

21 Marzo 2008

Non solo non esiste una soluzione ottimale al problema di Gaza: a dire il vero, non esiste alcuna “soluzione”. In Medio Oriente, le soluzioni sono una cosa rara: quello di cui abbiamo bisogno è la migliore opzione, seppur imperfetta, da scegliersi tra cinque alternative.

Quadro politico odierno. Israele soffre danni e vittime a Sderot e in altri luoghi. Pochi sono colpiti direttamente da questa situazione, e quasi tutto il paese è in grado di funzionare normalmente. Le pressioni internazionali sono limitate, e così anche le vittime civili. Israele periodicamente colpisce le rampe di lancio dei missili, le basi terroristiche e attacca le organizzazioni terroristiche. Tra qualche tempo sarà in grado di sviluppare un sistema di difesa antimissile.

Guardando oltre agli obblighi del governo verso i propri cittadini, comprendiamo che in futuro le cose cambieranno. Hamas sarà in grado di produrre missili a lunga gittata per colpire Ashkelon e infine Ashdod. Un ulteriore problema insito nelle strategie di difesa israeliane è che la critica occidentale definisce persino i minimi metodi difensivi come “sproporzionati”. Se vieni rimproverato quando sei preso a pugni, tanto vale combattere. Oltre a ciò, l’Occidente sostanzialmente mira a proteggere il governo di Hamas a Gaza, al di là di ogni sanzione o isolamento diplomatico (opzioni che probabilmente non dureranno comunque). Mentre Hamas si fa sempre più aggressiva, le politiche dell’Occidente paiono divenire sempre più concilianti. Nel contempo, un atteggiamento “morbido” verso Hamas non fa certo funzionare i negoziati di pace, e rende però le sue strategia all’apparenza più efficaci di fazioni meno violente come PA e Fatah. Infine, l’opinione pubblica fa pressioni sul governo affinché cambi la propria linea politica.

Ci sono tre proposte in lizza per una decisione drastica. Un cessate il fuoco è la soluzione ideale per le colombe; il rovesciamento di Hamas strizza l’occhio ai falchi; e lasciare questa confusione nelle mani di un contingente internazionale farebbe felici entrambe le posizioni. Sfortunatamente, nessuna di queste soluzioni ideali funzionerebbe. Un eventuale cessate il fuoco è denso di problemi, e potrebbe paradossalmente portare ad un aumento della violenza: Hamas non lo rispetterebbe, permettendo sia ai suoi membri che ad altri di attaccare Israele, e spingerebbe allo stesso tempo attraverso ogni istituzione affinché si commettessero altri omicidi. Un cessate il fuoco non durerebbe a lungo; Hamas lo utilizzerebbe per rafforzare il proprio dominio ed il proprio esercito, nel contempo esigendo ricompense per la propria “moderazione” come la fine delle sanzioni e la moderazione diplomatica, o persino aiuti dall’Occidente.

Occupare nuovamente Gaza; distruggere Hamas. Suona bene, ma come procedere? Israele non è stato colpito abbastanza ferocemente da rendere un tale compito permissibile; le sue truppe si troverebbero ad affrontare attacchi costanti da ogni direzione. Ancora una volta, lo Stato di Israele sarebbe ostaggio delle decisioni quotidiane di più di un milione di individui ostili. Troppi soldati dovrebbero essere impiegati per consentire l’adeguata messa in sicurezza del West Bank e del confine con il Libano. Si dovrebbero accettare costi elevati in termini di vittime, denaro e dissidi internazionali. E alla fine Hamas non verrebbe realmente “distrutta”, perché sconfiggere Hamas non significa eliminarla, ma mantenerla quanto più debole possibile (attraverso attacchi militari, l’isolamento eccetera), limitando la sua capacità di colpire Israele.

Dobbiamo inoltre considerare la seconda fallacia argomentativa di questo piano, ovvero quella di consegnare Gaza nelle mani dei “moderati” Fatah e PA. Non c’è possibilità che questo dono venga accettato. Difatti Fatah preferirebbe fare un patto con Hamas piuttosto che combatterla. E poi perché credere che Fatah sarebbe in grado di gestire la situazione meglio della volta precedente?

La soluzione internazionale. Il trucco starebbe nel consegnare Gaza all’autorità di una forza internazionale, ma questa è fantasia pura. Nessun paese manderebbe i propri soldati ad intervenire in una guerra che li colpirebbe duramente ogni giorno, né sopporterebbe coraggiosamente critiche ed attacchi terroristici provenienti da Stati arabi e mussulmani in cambio di nessun beneficio. E oltre a questo, cosa mai potrebbero fare i contingenti internazionali? Certamente non arrestare migliaia di abitanti di Gaza, uccidere coloro che tentano di attaccare Israele, processare in massa i terroristi e condannarli a lunghi periodi di prigione. Sicuramente non riuscirebbero a disarmare Hamas, né tantomeno a interrompere il traffico d’armi proveniente dall’Egitto.

E una volta ricominciata la pioggia di missili, le forze internazionali renderebbero impossibile qualsiasi intervento militare israeliano. Questa opzione rappresenterebbe anche un disastro politico, dove quasi ogni paese coinvolto realisticamente correrebbe ad intavolare trattative per creare uno Stato palestinese e negoziare con Hamas. Da ultimo, come già detto, PA e Fatah non accetteranno mai Gaza da un contingente internazionale.

Contrastare Hamas. Ciò di cui abbiamo bisogno è un’opzione quanto più concreta possibile che si basi sulla realtà, non sulle speranze. È nell’interesse di Israele ridurre gli attacchi sul proprio territorio e ai propri cittadini, limitando allo stesso tempo i costi necessari a raggiungere tale obiettivo. Tutto ciò può essere fatto combinando una versione maggiormente interventista delle politiche ad oggi in vigore con la creazione di una cintura di sicurezza nella zona nord della Striscia di Gaza, per sospingere Hamas e i suoi alleati fuori mira. Si potrebbe rendere questa zona relativamente sicura perché si tratterebbe di un fronte ristretto, con i fianchi protetti dal mare sul lato nord e da Israele a sud e a est, dove Israele controllerebbe lo spazio aereo. Sarebbe inoltre una strategia a scadenza, da utilizzare sino a quando non verranno sviluppate difese antimissilistiche e antibalistiche –forse già tra tre anni.

 

 

La stessa logica di Gaza è applicabile al West Bank ed al confine con il Libano. L’obiettivo principale per l’esercito deve restare quello di ridurre i pericoli e i danni, così gli abitanti potranno continuare a vivere nella normalità, ricostruendo il proprio paese, protetti dai loro soldati.

Traduzione di Alia K. Nardini

Barry Rubin è direttore del Global Research in International Affairs (GLORIA) ed editore del Middle East Review of International Affairs (MERIA). I suoi libri più recenti sono “The Truth About Syria” (Palgrave-Macmillan) e “The Long War for Freedom: The Arab Struggle for Democracy in the Middle East” (Wiley).