Come siamo ridotti! Nel ’68 c’erano i cattivi maestri, oggi le brave maestre
24 Ottobre 2008
Che dire di un movimento che nel ’68 era guidato dai cattivi maestri e nello ’08 è trascinato nelle piazze dalle brave maestre elementari? Quanto meno che non farà danni epocali, certo, ma anche che si iscrive nel riflusso conservatore (nel senso italiano di anti-liberale) che pervade la cultura politica nazionale.
Ha fatto bene Berlusconi a precisare il suo pensiero e a smentire ciò che non aveva “né detto né pensato". Ossia “manderò la polizia nelle scuole e nelle università”, frase mai pronunciata come ciascuno può verificare sul sito di Repubblica che pretenderebbe di convincerci del contrario. La forzatura è tipica di un sistema dell’informazione che non riesce ancora a comprendere la strategia mediatica del premier. Il quale non procede per “stop and go” come scrive il pur acuto Minzolini, ma per “spot and go”: messaggi brevi e semplici che rassicurano la maggioranza silenziosa del suo elettorato e al tempo stesso lasciano ampio margine al pragmatismo.
La polizia nelle scuole sarebbe un anacronismo perché i bravi ragazzi dello Zerootto non vogliono né la rivoluzione né il potere e nemmeno la fantasia al potere. Gli basterebbe uno sconto sui tagli decisi dal ministro Tremonti. Certamente non è nel loro registro contestare il meccanismo ingiusto di tagli che pongono tutti gli atenei sul letto di Procuste e ne mozzano le risorse senza discriminare fra i pochi che investono sul futuro e i più che campano d’assistenzialismo. Tanto meno s’interrogano sull’opportunità che venga abolito il valore legale del titolo di studio, figuriamoci.
Con gran soddisfazione di rettori e famiglie a carico. “Lottano” invece contro una riforma Gelmini che non c’è, se non nel buon senso di introdurre un minimo di disciplina fra gli studenti e un po’ di sana amministrazione da buon padre di famiglia nella mangiatoia sindacale. A proposito: perché non imporre d’autorità la visione del film “La Classe” nelle scuole italiane? Ha vinto a Cannes e quindi ha un marchio doc di classe (v. Sotis, non Luxemburg) e di sinistra -i docenti non faranno obiezione- ma ci racconta dell’angoscia che ogni serio professore non può non provare di fronte al danno esistenziale che il permissivismo incide nella vita degli studenti nati nel quartiere sbagliato della società benestante.
Gli studenti oggi non vogliono neppure il diciotto per tutti, che d’altronde non fu un mito culturale esclusivo della sinistra sessantottina: Ennio Flaiano ricordava che durante gli anni del fascismo gli studenti manifestarono una sola volta, appunto per chiedere il diciotto agli esami..
No, il movimento di oggi sa solo cosa non vuole, come di fronte a ogni fremito riformista dei ministri dell’istruzione del passato, e non sa far altro che ripetere gli slogan stanchi dell’opposizione parlamentare, anche se poi ne fischia i rappresentanti ufficiali.
I paragoni col passato sono dunque impossibili. Il Sessantotto fu un fenomeno cataclismatico planetario, la fine della grande glaciazione seguita alla ripresa postbellica, nessuno poté sottrarsi alla ventata antiautoriatria e di autoaffermazione dei figli e delle figlie contro i padri, nelle famiglie come nelle istituzioni. In Italia rifluì presto in schermaglia ideologica fra bande marxiste degenerando via via nell’intolleranza politica e nel carrierismo individuale. Il Settantasette fu un fenomeno tutto italiano, la scintilla che scocca dalla collisione fra la paranoia anticapitalista alimentata dalla cultura egemone e la politica compromissoria di un Partito comunista che già allora sapeva tutto ma non aveva capito nulla. Fu la ginnastica maoista del primo mattino che preparava il viaggio nella clandestinità e preludeva alla notte del terrorismo.
Lo Zerootto è soltanto un bancone di prodotti surgelati a saldo nella Coop dei docenti nullafacenti. C’è la fila, e scomposta, sì, ma non vale la testa rotta di uno studente o di un carabiniere.