Come trasformare Trump in Hitler in cinque minuti

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Come trasformare Trump in Hitler in cinque minuti

10 Marzo 2016

Era già abbastanza ridicolo quando qualcuno paragonava Obama a Hitler, descrivendolo come l’apostolo del partito unico, del bail-in automobilistico e della nazionalizzazione dell’industria energetica; è ancora più ridicolo il paragone tra Hitler e Donald Trump solo perché il Don durante un comizio ha chiesto ai suoi elettori di sollevare il braccio destro giurandogli fedeltà assoluta in queste primarie americane all’insegna del caos più creativo.

 

Con una differenza però. Chi diffamava Obama erano gruppuscoli irrilevanti, fanatici, come li descriveva la grande stampa difendendo a spada tratta il povero Obambi perseguitato dagli estremisti. Oggi invece sul “nazismo” di Trump speculano e inzuppano giornaloni autorevolissimi, come il Washington Post che lo chiama “Donald il Duce” e s’interroga sui rischi del nuovo fascismo americano. Quando toccava a Obama, insomma, tutti a stracciarsi le vesti. Se invece bisogna mascariare il Don c’è la fila a chi alza prima il ditino accusatore, senza vergogna per l’assurdità degli argomenti.

 

Un esempio è il presidente del Messico, il quale, invece di pensare ai problemi di casa sua – la corruzione a tutti i livelli, El Chapo, la violenza diffusa e il femminicidio – ha pensato bene di impartire all’America una lezione di democrazia parlando dei rischi del totalitarismo e della “stridente retorica” di Trump sul muro da costruire al confine tra i due Paesi per bloccare i clandestini.

 

Il trattamento riservato a Trump ha una spiegazione. Chi mette sullo stesso piano il comizio del Don a Orlando e i rally di SS ed SA a Norimberga negli anni Venti lo fa perché ha avuto un bel colpo apoplettico dopo che “The Donald” ha vinto a mani basse il SuperTuesday e il SuperSaturday elettorale. L’establishment americano, democratico e repubblicano, ancora non si capacita di quello che sta succedendo e le sta provando tutte pur di screditare Trump. 

 

Lo dimostra una notizia che se venisse confermata metterebbe davvero una grande tristezza sul livello a cui si sta abbassando il gotha del GOP, il “Grand Old Party”, pur di fare le scarpe al suo ‘candidato’ favorito. Ne ha parlato ieri l’edizione americana dell’Huffington Post, raccontando di un segretissimo attovagliamento tra i big di Internet, i supermanager di Google, Apple e della Rete, con una delegazione di repubblicani, a margine di un forum dell’influente American Enterprise Institute, pensatoio della Washington conservatrice che conta.

 

Come dire, non sapendo più che pesci prendere i repubblicani chiedono aiuto ai signori del web per salvare il salvabile. La notizia mette tristezza visto che i padroni di Internet disponibili a fare da consulenti ai repubblicani sono gli stessi che sponsorizzarono a colpi di milioni di dollari il “change” obamiano. Insomma se i poteri forti si danno all’inciucio più sfrenato con la classe politica di destra e di sinistra è il segno che avevamo ragione, Trump non è un bluff ma la vera novità di questa campagna elettorale, e soprattutto rischia di vincere.

 

Se mai il ragionamento da fare sarebbe un altro e non riguarda la favoletta del nuovo duce americano o del saluto romano, questa è roba per boccaloni che se ne vanno dietro alle bufale del web. Il vero discorso che dovrebbe interessarci riguarda invece il motivo per cui i maggiorenti del partito repubblicano sono così ansiosi di avere il sostegno dei re mida del web, cioè di coloro che sono in grado di monitorare, “profilare” uno per uno gli elettori, manipolarli mentre usiamo il web illudendoci di essere liberi.

 

Altro che neonazismo, il rischio concreto oggi è quello delle nuove oligarchie virtuali e della dittatura del politicamente corretto che fa da collante ideologico al potere biopolitico della Silicon Valley. Sul web bastano cinque minuti per trasformare Trump nel nuovo Hitler.