Comincia dai cartoons l’educazione al terrorismo di Hamas
07 Maggio 2008
Il lavaggio del cervello è un elemento chiave nella
strategia politica di lungo periodo di Hamas. Per spingere un uomo al martirio
è essenziale convincerlo fin da bambino. Topolino e il Re Leone sono lì apposta.
Al Mutamyazoon è il programma per bambini di Al Aqsa, la tv di Hamas. Il 2
maggio scorso è andata in onda la nuova serie di “Kuku e Fufu”, due burattini,
un uccellino e un galletto, che hanno festeggiato il Sessantesimo anniversario
della nascita di Israele.
Fufu: “Da dove vieni Kuku?”
Kuku: “Vengo da Tel Rabi’a che loro chiamano Tel
Aviv. Allah è la nostra forza. Io dico che
torneremo nelle nostre case, nelle nostre terre, Dio volendo”.
Fufu: “Che stai dicendo Kuku? Torneremo davvero
nella nostra terra?”
Kuku:
“Certamente Fufu”.
Fufu: “Andremo ad Haifa, Jaffa e in Tiberiade, non è
vero Kuku?”.
Kuku: “Torneremo ad Haifa, Jaffa e in Tiberiade,
Fufu. Andremo là e giocheremo con la sabbia. Useremo ogni cosa. Saremo di nuovo
forti, ricostruiremo tutto”.
Fufu: “Mangeremo anche i frutti dei nostri alberi, Kuku?”
Kuku: “Sì sì, anche se i sionisti hanno costruito i
loro insediamenti in alcune delle nostre terre”.
Fufu: “Non preoccuparti Kuku. Dio volendo,
concimeremo ancora una volta la terra con le nostre mani. Ma non mi hai detto
quando torneremo nella nostra terra”.
Kuku: “Ci torneremo quando saremo uniti, quando
obbediremo alla nostra fede e al Corano. Stiamo uniti e domani torneremo nella
nostra terra come vincitori”.
Fufu: “Okay Kuku. Metti le tue mani nelle mie e
uniti domani torneremo vittoriosi nella nostra terra, Dio volendo, ad Haifa,
Jaffa e in Tiberiade. Le mie mani
nelle tue, Kuku. Andiamo uniti e torniamo nella nostra terra come vincitori”.
Questa cantilena ha un ritmo e delle invarianti
fisse che la rendono un perfetto esempio di indottrinamento religioso. C’è la
ripetizione martellante di una ‘chiamata celeste’ (Dio volendo), un preciso
riferimento al Corano, l’idea che i palestinesi debbano riprendersi Haifa e
Jaffa che in realtà sono città etnicamente miste in territorio israeliano. Non
si parla esplicitamente di guerra ma quel “torneremo vittoriosi” è un temibile
refrain. Nel libro “Combatting Cult Mind Control”, Steve Hassan ha scritto che
l’indottrinamento è un processo attraverso il quale vengono inculcate idee, attitudini,
comportamenti. L’indottrinamento si distingue dall’educazione perché gli
indottrinati non si pongono il problema di esaminare criticamente la dottrina
che gli è stata inculcata. Gli innocui Kuku e Fufu quindi manipolano i
ragazzini palestinesi, persuadono (coattivamente) il giovane pubblico sulla
‘palestinità’ di Haifa e di Jaffa, al di fuori di qualsiasi accordo, trattato o
principio storico.
Gli studiosi che dagli anni Cinquanta a oggi hanno
analizzato il brainwashing, il “lavaggio del cervello”, hanno notato che in
molti casi chi viene ‘riprogrammato’ può essere ‘deprogrammato’ tornando alla
sua vita precedente. Rientrare a casa, riprendere le vecchie abitudini,
riconquistare la propria identità. Casi come questo si sono verificati tra i
veterani americani della Corea ma anche tra persone più giovani sfuggite alle
rete di qualche cult-leader come il reverendo Moon. Riusciremo a
‘deprogrammare’ uomini e donne che fin dall’infanzia sono stati martellati da
una propaganda costante come quella di Hamas, e che non hanno il ricordo di una
vita precedente, libera da condizionamenti e valori imposti?
Il gruppo terrorista sta mettendo in pratica un
indottrinamento su larga scala che copre ogni momento della vita dei
palestinesi. L’antiamericanismo e l’antisemitismo vengono inculcati nei bambini
seguendo un metodo che potremmo paragonare a quello usato dai comunisti cinesi
con i soldati americani prigionieri in Corea, con la differenza che questi
ultimi erano in un campo di rieducazione mentre i ragazzini sono finiti nella
gabbia deprivante della televisione di Hamas. Guardando ai veterani della
Corea, il professor Robert Lifton scrisse che l’imposizione di valori
antiamericani corrispondeva alla promessa di ottenere condizioni di vita più
confortevoli, un posto dove dormire, cibo migliore, vestiti più caldi. In
questo modo il ‘prigioniero’ diventava succube del suo ‘padrone’. Kuku e Fufu
giocano su questa dinamica repressiva. La promessa del “Ritorno” ad Haifa e
Jaffa sottende il sacrificio di una generazione.
In “Thought Control and the Psychology of Totalism”,
Lifton aveva analizzato la tecnica cinese del “xi nao”, la ricostruzione del
pensiero, evidenziando che il ‘brainwasher’ cerca di piegare l’integrità
psichica dell’individuo che ha di fronte facendo leva sui processi informativi,
sul modo in cui la mente conserva l’informazione e sui valori da azzerare e
ricostituire. La mente umana ha una potente capacità di assorbimento e la tv è
un ottimo mezzo per reclutare adepti disposti a morire per la Causa. Secondo il
professor Philip Zimbardo non si tratta di un fenomeno mistico o magico ma di un
processo che riguarda una serie di principi basici della psicologia sociale. È
interessante ricordare che negli anni Ottanta fu proprio un medico arabo, il
professor Benjamin Beit-Hallahmi dell’università di Haifa, ad esprimere un
parere negativo sulla scientificità del brainwashing, giudicandolo il frutto
del sensazionalismo dei tabloid.
All’interno dell’American Psychological Association
si era aperta una forte discussione tra chi sosteneva che la mente umana può
essere controllata e chi invece ridimensionava queste teorie. Margaret Singer,
la decana del movimento impegnato a studiare e a contrastare la persuasione
occulta, aveva creato il DIMPAC (Deceptive and In direct Techniques of
Persuasion and Control), guadagnandosi un certo ostracismo da parte della
comunità scientifica, Hallahmi compreso. Eppure la professoressa Singer ha
continuato a lavorare e a pubblicare saggi fino alla sua morte. Nel 2002 Zimbardo
ha scritto su “Psychology Monitor” che, quando uno stato poliziesco o un culto
distruttivo prendono il controllo della mente dei loro prigionieri, è possibile
‘inventare dei nemici’ da combattere. Un intenso esercizio spirituale può avere
pericolosi effetti collaterali sulla nostra psiche, generando stati alterati di
coscienza che – nel momento adatto – trasformano persone normali in esseri
irrazionali, aggressivi, pronti a compiere azioni illegali anche di natura
autodistruttiva.
Hamas opera attraverso decine di siti in tutto il
mondo arabo, come il magazine per ragazzi Al Fateh%2C “il Conquistatore”. Il
giornale ha una grafica friendly, molto accattivante, con articoli e racconti
che si rifanno a episodi di valore della storia islamica, compresi gli attacchi
compiuti dagli uomini bomba che vengono presentati come dei modelli ai ragazzi,
incoraggiando i lettori all’odio verso gli israeliani. Al Fateh ha pubblicato
il testo del ragazzo-bomba che in un attacco suicida del 2001 uccise 21 civili
israeliani, la maggior parte teenager. Hamas aveva riempito con i poster del
baby-kamikaze i territori sotto controllo dell’Autorità Palestinese. Nel giugno
del 2003 Yasser Arafat intervenne al “Palestinian Child Day” spiegando ai
bambini che dovevano rispettare la tradizione islamica e combattere in prima
linea sulle frontiere dell’Islam. Con quali conseguenze per il futuro lo stiamo
vedendo ora.
L’intera programmazione di Hamas privilegia cartoni
animati carichi di odio, risentimento e desiderio di rivalsa. Da Farfur, il
Topolino inseguito e fatto fuori dal Mossad, ai suoi successori, il Coniglio
Assoud e il Re Leone. Tanti disegni, colori e immagini per spiegare che Spagna
e Portogallo ‘torneranno’ all’Islam. Il Coniglio Assoud, il successore di
Farfur, promette di uccidere ebrei e danesi: “Voglio riportare il sorriso e la
gioia tra i bambini palestinesi e i bambini di tutto il mondo, il mondo
islamico, Dio volendo”. I ragazzi che lo ascoltano avranno il compito di liberare
la Moschea di Al Aksa, il terzo dei luoghi sacri islamici, attualmente sotto
sovranità israeliana. “Siamo tutti pronti a sacrificarci per la salvezza della
nostra terra. Sacrificheremo la nostra anima e tutto ciò che abbiamo per la
nostra terra”, dice Saraa, una agguerrita compagna di Assoud. La ragazzina gli
chiede perché si chiama così e lui spiega che di solito la parola “coniglio” è
sinonimo di codardo, “ma io, Assoud, sconfiggerò gli ebrei, Dio volendo, e me
li mangerò, Dio volendo”. La puntata finisce con una canzone intitolata “Non
riconosceremo mai Israele”.
E il Re Leone? Non ha perso la flemma reale di Simba.
Nella versione di Hamas combatte contro un topastro dal profilo rattesco, in
occhiali scuri e cravatta, che fuma il sigaro e imbraccia un mitra. Vicino al
topo c’è sempre un sacco pieno di mazzette di dollari. Il messaggio è chiaro:
il Re Leone rappresenta Hamas, che si prende cura dei bambini palestinesi
indifesi, mentre il topo è l’incarnazione malvagia dell’ANP, collusa con il
governo Bush. Il titolo del cartone è “Un messaggio per la gang di criminali
che occupano la West Bank”. Nel video si vedono le case di Gaza che bruciano,
si sentono colpi di armi da fuoco nelle moschee, l’impressione è che qualcuno
stia dissacrando il Corano. Il topastro è in realtà una caricatura di Mohammed
Dahlan, il Nerone di Gaza. Il Re Leone guarda in silenzio la scena preparandosi
a sferrare il colpo. Il Topo fugge terrorizzato mentre gli abitanti gridano
“Fuori dalla West Bank!”.
C’è una vignetta di Hamas in cui un bambino piscia
sulla testa della Statua della Libertà. In un altro spettacolo di burattini un
ragazzino brandisce la “spada dell’Islam” sfidando il presidente Bush (in
guantoni). “Sei un criminale, Bush, un uomo deprecabile. Mi hai reso orfano. Mi
hai privato di ogni cosa”. Il piccoletto alla fine dichiara di aver ucciso il
nemico perché era “impuro” e che la Casa Bianca verrà trasformata in una
Moschea. Questo il tenore dei cartoni di Hamas. Erano meglio Lady Oscar e Jeeg
Robot d’acciaio.