Cominciamo a pagare lavoro, non pensioni

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Cominciamo a pagare lavoro, non pensioni

19 Novembre 2010

La brama all’agognata pensione e la corsa a pensionamento in età non ancora troppo avanzata è giustificata e comprensibile in due casi.

Il primo quando il pensionamento si profila quale giusto ristoro di attività lavorative usuranti oltre che sul piano psichico, sul piano fisico e con difficoltà crescenti a svolgere l’attività lavorativa con l’avanzamento dell’età.

Il secondo quale garanzia di reddito a fronte di situazioni di lavoro non garantito ovvero quale riparo ad improbabili riconversioni professionali in pesanti processi di riorganizzazione aziendale che possa determinare fino alla perdita del lavoro stesso.

Qualora non si dia uno di questi due casi è probabile e possibile che molte persone, pur giunte all’acquisizione del requisito pensionistico, mantengano interesse al proprio lavoro e temano il “vuoto lavorativo”e siano quindi ben disposti a proseguire e mantenere il lavoro senza accedere alla pensione. Questo fenomeno è stato riscontrato anche all’epoca del cosiddetto “bonus” da parte di numerosi lavoratori che vi avevano acceduto, anche se la normativa presentava diversi elementi discutibili (contributivi ed occupazionali).

Queste volontà vanno colte ed utilizzate in termini collettivi attraverso un nuovo patto: per ognuno che ritardi l’accesso al trattamento pensionistico e prosegua l’attività lavorativa, si dia luogo ad una nuova assunzione nell’azienda pubblica o privata nella quale il lavoratore permanga, con costi a carico dell’Ente di Previdenza , sostitutivi ai costi della pensione ritardata (molto spesso una pensione supera per importo il salario d’ingresso riservato ai giovani di prima assunzione).

Quali i vantaggi?

Facciamo un esempio nel pubblico impiego, e paradosso per paradosso, prendiamo la scuola anche se potrebbe sembrare l’esempio meno azzeccato. Se 10 insegnanti pensionabili rinunciano alla pensione, siano assunti, con i corrispondenti denari risparmiati, 10 insegnanti da inserire nelle relative scuole.

Questa assunzione potrebbe essere comunque scontata se la regola del turn-over fosse sempre rispettata nel pubblico come nel privato, ma così non è , quindi intanto si garantirebbero le 10 assunzioni. La differenza sostanziale starebbe nel fatto di avere in servizio allo stesso costo complessivo, 20 insegnanti anziché 10 con un sicuro avanzamento sul piano della qualità del servizio scolastico.

Ma questo meccanismo potrebbe essere molto interessante anche nel settore privato.

Prendiamo un’azienda di medie dimensioni, qualora una persona rinunci temporaneamente alla pensione e rimanga al lavoro, l’importo della sua pensione sarà “girato” all’azienda la quale assumerà un giovane trovandosi a disposizione sia l’esperienza e la professionalità dell’anziano che l’energia e le conoscenze del giovane, per sviluppare quei tanti progetti di ricerca e innovazione che possono arricchire le aziende ed essere applicati a vantaggio di una maggiore produttività.

I vantaggi quindi paiono evidenti sul piano occupazionale e della produttività (aziendale/qualità servizi/sistema Paese), mentre né le aziende, né gli enti pensionistici sarebbero gravati di costi ulteriori a quelli sostenuti alle attuali condizioni. Chi rinunci alla pensione inoltre conserverebbe integro il proprio livello di vita e reddituale, con in più la motivazione e la soddisfazione etico-morale di aver consentito attraverso la propria condotta, non ad escludere l’inclusione di giovani nel mondo del lavoro, ma al contrario di averla provocata.