Commissariamento e “prestito ponte”, intanto Alitalia perde 800mila euro al giorno
02 Maggio 2017
Il cda di Alitalia apre le porte all’amministrazione straordinaria dell’azienda, dopo la bocciatura da parte dei lavoratori del nuovo piano industriale. “I soci italiani ed Etihad – si legge in una nota – convinti del potenziale di crescita dell’azienda, si erano resi disponibili a finanziare il piano industriale per 2 miliardi di euro, attraverso forti investimenti e una riduzione dei costi strutturali che, per due terzi, non erano relativi al costo del personale. I soci avevano condizionato la disponibilità alla ripatrimonializzazione e al rifinanziamento ad un accordo con le organizzazioni sindacali, venuto meno con l’esito del referendum tra i dipendenti“. Si prepara quindi l’arrivo dei commissari: sono tre, Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari.
Com’era prevedibile sta quindi per compiersi il secondo fallimento di Alitalia in nove anni, dopo che con gli auspici del governo Renzi la nostra ex compagnia di bandiera era finita in mano alle banche e alla compagnia emiratina Etihad, che oggi fa sapere di sfilarsi e che non investirà altri soldi nel nostro Paese. Senza i tagli previsti dalla ristrutturazione, l’azienda non ha i fondi necessari a ripianare le perdite degli ultimi anni, che sono continuate anche se riducendosi da quando in ballo è entrata Etihad. Il ‘referendum’ dei lavoratori è stato giudicato un errore, perché adesso si rischiano di perdere molti più posti di quelli che sarebbero sfumati se il piano dell’azienda fosse stato accettato, ma da più parti si indicano anche gli errori di chi ha guidato la compagnia in questi ultimi anni, scommettendo, male, sulle tratte a lunga percorrenza mentre quelle in quelle a corto e medio raggio non si è riusciti a competere con le low cost, da Ryanair a EasyJet. Non ci si chiede però che faceva intanto il governo, che aveva salutato l’arabizzazione della compagnia come la soluzione definitiva ai mali di Alitalia.
Dal governo intanto confermano l’ipotesi di un prestito ponte, altri soldi pubblici, per evitare che il tracollo completo e immediato dell’azienda – le perdite si aggirano su un milione di dollari al giorno – riporti l’Italia tra le economie a rischio della eurozona, più di quanto Roma non lo sia già (il ministro dello sviluppo economico ha parlato di “choc” per l’economia italiana in caso di fallimento). Stoppata sul nascere una ri-nazionalizzazione della Compagnia, simbolo del boom economico e di una Italia che ormai non esiste più, il governo ha chiesto sei mesi di tempo per riposizionarla sul mercato. Lufthansa e Norwegian Air però hanno mostrato poco interesse a farsi avanti, mentre i creditori chiedono al governo di intervenire non essendo più disponibili ad aprire i cordoni della borsa. Nell’arco di un decennio i salvataggi di Alitalia sono costati più di 7 miliardi di euro ai contribuenti, da qui la linea tenuta fino adesso dall’esecutivo, evitare salvataggi che comportino altri esborsi pubblici. Ma viene da chiedersi se, con l’accelerazione impressa dalla vittoria di Renzi alle primarie Pd, e con l’ombra del voto anticipato in autunno, davvero i Dem resteranno inerti davanti a un fallimento che porterebbe a più di 12 mila posti di lavoro persi – mentre Istat certifica che il tasso di disoccupazione nel nostro Paese ha ripreso a salire, dall’11,5 all’11,7%.