Commissione Senato: Renzi cerca la crisi ma rimedia un altro schiaffo (e “l’accozzaglia” vince ancora…)
06 Aprile 2017
Piccola ma significativa batosta per Renzi, tanto significativa che il leader e i suoi sono furiosi, e protestano “non si fa così!”, gridando al tradimento. L’ordine di scuderia (i renziani si muovono sempre su imput precisi, mai in modo casuale) è, del resto, sottolineare la gravità dell’evento, alzare il tiro e il livello dello scontro. Sì, ma cosa è effettivamente accaduto?
In realtà nulla di così rilevante, e tantomeno di tragico, come ha tentato di spiegare il presidente del Senato, Grasso: la commissione Affari costituzionali, dopo essere rimasta per mesi senza un presidente (con la promozione di Anna Finocchiaro a ministro), ne ha finalmente eletto uno. E il colpo di mano, il tradimento, consisterebbe nella scelta di un senatore che appartiene alla stessa maggioranza, e dunque rientra nelle normali regole di spartizione delle cariche parlamentari.
Ma il nuovo presidente, Salvatore Torrisi, di Area popolare (gli alfaniani) non è quello indicato dal Pd, anzi da Renzi. E’ per questo che il giglio ex magico protesta, parla di “ferita” e di “preoccupazione per il governo”, e addirittura si è rivolto – l’ha fatto Matteo Orfini – a Mattarella, come se una qualunque votazione al Senato, perfettamente regolare, potesse diventare una lacerazione democratica tale da richiedere l’intervento del garante delle istituzioni, il presidente della repubblica.
Matteo ha perso la testa e le staffe oltremisura? No: siamo alle solite, si tratta degli eterni giochetti di potere in cui è effettivamente assai bravo, ma che ultimamente hanno spesso esiti fallimentari. Renzi, si sa, vuole le elezioni, e cerca di logorare e indebolire Gentiloni senza apparire il killer di un governo Pd, come è accaduto con Letta.
Da tempo, quindi, è a caccia dell’incidente parlamentare che possa aprire la crisi, e manovra dietro le quinte per arrivare all’obiettivo. La presidenza della commissione Affari Costituzionali, che dovrà occuparsi della legge elettorale, è strategica, proprio per il suo compito: per fare una legge in tempi brevi, evitando trappole ed ostacoli, il ruolo del presidente è fondamentale. La strada è stretta, il partito in declino, l’immagine di Renzi appannata, e Mattarella, che lo ha lasciato fare finché all’orizzonte c’era il referendum da vincere, oggi si rivela un osso più duro del previsto, e non si schioda dalla richiesta di andare alle urne solo dopo aver armonizzato il sistema elettorale tra le due Camere.
Bisogna quindi cogliere la palla al balzo, esasperare i toni, calcare la mano sul “tradimento”. E però, la sconfitta c’è stata. I numeri parlano chiaro: i voti disponibili sulla carta dovevano essere 17, ma il candidato renziano, Pagliari, ne ha avuti solo 11. L’accozzaglia (ricordate la definizione sprezzante con cui Renzi aveva bollato i sostenitori del no al referendum?) ha vinto ancora, come ha commentato Gaetano Quagliariello, che della commissione Affari costituzionali fa parte.
Se da una parte Renzi ha deciso di giocare la carta della “gravità” del fatto, dall’altra la sconfitta sicuramente brucia, soprattutto in un momento in cui, con le primarie, sta cercando di tornare a galla, di rifarsi un look da vincente e riprendere un ruolo da protagonista. Ma se il paese è stanco di un leader troppo autocentrato, troppo strumentale e distratto nei confronti dei veri interessi degli italiani, anche il suo partito forse comincia ad esserlo, nonostante i risultati delle primarie nei circoli. E il voto di ieri non è un bel segnale.
Meno male che gli rimane accanto il fido Alfano, subito sollecito nel chiedere a Torrisi di dimettersi, come fosse un usurpatore e non, semplicemente, un presidente di commissione regolarmente eletto.