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Compagni di Strada
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02 Aprile 2007
di redazione
Da
qualche settimana, il governo della repubblica è esposto al ricatto. Non
già del Parlamento, come sarebbe fisiologico, ma di Emergency, come mai avrebbe
dovuto essere. Ed è davvero un brutto spettacolo quel ping pong di insinuazioni
su “voi allora in Iraq e noi ora in Afghanistan”, che piace tanto all’attuale
ministro degli Esteri.
Tra
l’altro quel ministro porta il medesimo nome e cognome del volenteroso capogruppo
dei deputati del Pci/Pds che nella XI legislatura aveva chiesto al Parlamento
di rinviare al giudizio della Corte Costituzionale l’ex capo dello Stato, Francesco
Cossiga per alto tradimento e attentato alla costituzione.
I
fatti, o meglio le situazioni, che avrebbero sorretto l’ipotesi di così gravi
reati (fino a 28 anni di reclusione), si deducevano perlopiù da supposti abusi
verbali, esternazioni, invasioni di campo in politica estera: qualcosa di molto
simile all’odierna “diplomazia dei movimenti”. Tale formula lessicale, oggi in
auge, allora nessuno la riteneva commendevole, persino cossighiani di
indiscussa fede, si erano sentiti a disagio quando il piccone si era abbattuto
su comunisti, pacifisti, magistrati, neutralisti, nemici di gladio, senza alcuna
“diplomazia delle forme”; ma dell’iniziativa parlamentare del Pci/Pds fu presto
evidente che nulla meritasse di assurgere a “precedente”.
Ecco
perché, con buona pace di Bertinotti, la diplomazia dei movimenti è percorso
scivolosissimo. Anche, e magari soprattutto, in tempi di globalizzazione e di
conflitti asimmetrici.
Da
sempre nella storia, Stati nazionali e organizzazioni internazionali hanno
fatto ricorso ai più estrosi interlocutori (sultani medievali e guerriglieri comunisti,
angeli e diavoli, banchieri e pascià).
Ma
anche la trattativa con satana o la mediazione di Dio a un certo punto deve per
forza ricondursi alla responsabilità del governo in Parlamento. E qui finora il
ministro degli esteri ha taciuto, ha negato, ha alluso, ha eluso. Che aspettano
le opposizioni che ora sono addirittura due a pretendere che la politica estera
non sia appaltata alle interviste di Gino Strada. (L.C.)