Competenze e leadership forte: ecco la ricetta per superare l’astensionismo

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Competenze e leadership forte: ecco la ricetta per superare l’astensionismo

24 Gennaio 2018

L’astensionismo c’è, è un dato di fatto. A poco più di un mese dalla “chiamata alle urne” che darà all’Italia un nuovo Parlamento e – si spera – un nuovo Governo, il 34% degli elettori pensa che non andrà a votare. La fuga verso il non voto può però essere arginata, purché la politica offra all’elettorato un giusto mix di rigore e combattività, di competenza e novità, e un forte modello di leadership incarnato da una figura affidabile, esperta, coerente e capace di sfidare la politica stessa, soprattutto se messa alla prova su temi come lavoro, sanità, sviluppo economico, scuola e giustizia. E’ quanto emerge dalla ricerca realizzata dalla fondazione Magna Carta in collaborazione con l’istituto demoscopico Ipr-Marketing.

Lo studio, come ha spiegato il presidente di Ipr Antonio Noto, è il risultato di un lavoro condotto attraverso otto focus group, distribuiti per aree territoriali e coordinati da psicologi e sociologi specializzati. Ciò che viene messo in evidenza è che in vista delle prossime elezioni i tre quarti degli astenuti si dichiarano pessimisti rispetto alla possibilità di assistere a un reale cambiamento della situazione politica. L’idea di partecipazione, però, per circa metà del target, non è esclusa in partenza e potrebbe tradursi in effettiva determinazione ad andare al voto. Come? 

Gli elettori che la politica può sperare di riportare alle urne sono essenzialmente i “delusi” (terza categoria di astenuti, dopo i “consolidati” e gli “infuriati”). Il loro giudizio sulla politica non è completamente chiuso, è in qualche modo sensibile alle sue evoluzioni, sicché la loro posizione può essere smussata, fino a trasformala in “voglia di voto” attraverso proposte credibili, veicolate da una figura determinata e autorevole, e comunicate con toni adeguati (non quelli violenti e urlati tipici delle campagne elettorali). E’ così che si può davvero “restituire a chi vota la percezione di valere”. 

Ma perché ci sono così tanti astensioni in Italia oggi? Come è possibile che la disaffezione nei confronti della politica sia arrivata a livelli così alti? Antonio Pilati, che della ricerca ha curato la parte storica anche con interviste ad analisti e intellettuali di spicco come Roberto D’Alimonte, Marco Gervasoni, Ernesto Galli Della Loggia, Giovanni Orsina, prova a spiegarlo. “L’astensione acquista consistenza solo a metà degli anni ’90 – scrive – soprattutto in riferimento alle elezioni del 1992. È facile mettere in correlazione tale balzo con i mutamenti drammatici che il sistema politico vive nel biennio 1992-94: scompaiono, con la parziale eccezione del Pci/Pds, tutti i partiti che hanno riempito la scena politica della Prima Repubblica e incanalato il consenso per quasi mezzo secolo; sono eliminate le preferenze, che costituivano un potente strumento di mobilitazione degli elettori (soprattutto nel Centro-Sud) in quanto principale mezzo di selezione dei parlamentari ed è introdotto un sistema elettorale del tutto nuovo; infine, tra il 1989 e il 1996 i cittadini sono chiamati al voto (politiche, regionali, europee, amministrative) quasi ogni anno, generando un certo effetto saturazione”. 

“Tuttavia la caduta dell’affluenza – continua Pilati – non è un fatto transitorio, legato a circostanze contingenti: prosegue per tutto il decennio iniziale del nuovo secolo. In questa evoluzione è probabile abbiano peso due fenomeni che si dispiegano con forza su larga scala in quegli anni. Il primo è il progressivo consolidamento, dopo la firma del Trattato di Maastricht, dei vincoli europei che portano fuori dal recinto nazionale una crescente quota di decisioni politiche togliendo così importanza e cogenza alle prove elettorali. Il secondo fenomeno, in qualche misura affine, si lega da un lato all’espansione dei mercati globali e dall’altro alla capillare efficacia della rivoluzione digitale: entrambi i processi sembrano indicare che lo sviluppo e la ricchezza sempre meno dipendono dalla politica e sono in realtà gli effetti di un progresso della tecnologia diffuso su scala mondiale. Sulla base di questi processi, sempre più avvertibili anche nella vita quotidiana, si consolidano due figure ideologiche destinate da allora a un grande successo: una, derivata dall’America degli anni ‘40, è il primato dei tecnici che decidono in base a criteri scientifici, non sono influenzati da motivazioni di potere e quindi più facilmente possono perseguire gli interessi collettivi; l’altra, che ne costituisce il correlato, è la progressiva obsolescenza della politica resa sempre meno rilevante dal sapere dei tecnici e anche dal mito di una democrazia diretta messa alla portata di tutti dalle pervasive prestazioni delle reti digitali”.

Se dunque la storia insegna che l’astensionismo è figlio delle crisi politiche e dei “cambi di sistema”, l’appuntamento elettorale del prossimo 4 marzo potrebbe essere l’occasione buona per dare una sferzata a questo trend che, come sottolineato da Gaetano Quagliariello, leder di Idea e presidente della fondazione Magna Carta, “neppure il Movimento 5 stelle può arginare”. “Sono 3-4 milioni gli elettori italiani – sottolinea Quagliariello – ancora disponibili ad andare a votare, quelli che vogliono una politica che sappia dare risposte, soprattutto in un momento cruciale come quello che stiamo vivendo oggi: all’uscita da una crisi economica durata nove anni e che ha creato una serie di ingiustizie. Mi auguro che il centrodestra sia in grado di dare queste risposte, perché se ci riuscirà, sarà anche in grado di governare il Paese, sia con i numeri, sia con le sue proposte programmatiche”.