Comprendere le differenze per evitare nuove crisi
18 Maggio 2011
Negli ultimi mesi è salito il livello di attenzione sull’uso sempre più ampio dei derivati, in particolare quelli OTC (Over The Counter), ossia fuoriborsa, che negoziati al di fuori dei circuiti regolamentati sono privi di quotazioni ufficiali e di prezzi trasparenti.
I dati pubblicati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) indicano che a giugno dell’anno scorso il valore nozionale degli OTC era pari a circa 600 mila miliardi di dollari e come dopo la crisi dell’autunno 2008 questo valore sia sceso solo leggermente, continuando ad essere superiore rispetto agli anni precedenti. In particolare, il dato di giugno 2010 risultava ancora del 15% più alto di quello registrato nel 2007.
Il valore nozionale, se da un lato fornisce informazioni utili sulla struttura dei derivati non può, tuttavia, essere considerato un indicatore di misurazione della rischiosità, per la quale può essere preso in considerazione il valore lordo di mercato, che rappresenta un indicatore del rischio di controparte e misura i costi di rimpiazzo dei contratti. Questo indicatore ha iniziato ad aumentare fortemente da metà del 2007, quando sono emersi i primi evidenti segnali di tensione nel sistema finanziario statunitense, salendo da 10 mila a 20 mila miliardi di dollari nel giro di un anno fino ad arrivare ad oltre 30 mila miliardi nel momento più acuto della crisi. Successivamente, è tornato intorno a quota 25 mila miliardi di dollari per salire nuovamente, nella prima metà del 2010, verso i 30 mila miliardi di dollari.
Secondo le più recenti valutazioni, il rischio di credito riconducibile ai derivati OTC risulterebbe pari a 3.600 miliardi di dollari, inferiore al dato di dicembre 2008 (5.000 miliardi di dollari), ma, comunque, superiore ai valori del 2007 e di fine 2009.
Questo scenario deve fare riflettere tutte le autorità preposte a vigilare sui mercati finanziari, evitando che i presupposti scatenanti la crisi dell’autunno del 2008 possano nuovamente ripetersi.
Un insegnamento dovrebbe essere risultato chiaro dall’analisi delle cause che hanno portato allo scoppio della precedente bolla finanziaria: esistono intermediari finanziari che hanno contribuito alla diffusione delle perdite e ad un generale calo di credibilità e di solidità del sistema, e altri che, al contrario, hanno continuato a operare ancora di più con tutte le loro forze per riuscire a continuare a svolgere la loro azione di banca tradizionale, presente nei territori e vicina alle persone e alle imprese.
In tal senso numerose analisi condotte a livello internazionale confermano come durante la crisi la Cooperazione Bancaria abbia proseguito nella sua azione di sostegno delle piccole e medie imprese e delle famiglie, i soggetti maggiormente esposti alla recessione e, proprio per questo, bisognosi di maggiori attenzioni.
Avere cercato durante la crisi di limitare i danni che l’eccesso di finanziarizzazione dei mercati ha determinato sull’economia reale e sul tessuto produttivo a livello locale è stata una delle ragioni che ha spinto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a proclamare il 2012 “Anno Internazionale delle Cooperative”, identificando con il movimento cooperativo le aspirazioni di democrazia economica, di riscatto sociale e di diffusione del benessere che accompagnano ognuno all’interno delle rispettive comunità di appartenenza.
Essere una banca che basa la propria mission sul relationship banking, ossia su un modello operativo che pone al centro della sua azione quotidiana la figura del cliente e con il quale costruisce un legame stabile e duraturo nel tempo, non cercando guadagni di breve termine e più rischiosi, generati dal modello del transactional banking, ha permesso durante la crisi di operare come elemento di stabilità e di salvaguardia per l’economia reale, confermando come la Cooperazione Bancaria continui ad essere, ancora oggi, un valore moderno e attuale. Ciò è avvenuto in tutti i paesi e, naturalmente, anche in Italia dove le Banche Popolari hanno registrato aumenti degli impieghi e della raccolta negli ultimi tre anni generalmente superiori alla media nazionale, privilegiando le PMI e le famiglie che sono la loro clientela di riferimento.
Se i pericoli sono sempre dietro l’angolo ed è maggiormente sentita l’introduzione di una serie di regole improntate ad una maggiore prudenza, come nel caso di Basilea 3, emerge, tuttavia, con sempre più forza la necessità di salvaguardare un patrimonio costruito nei decenni che, non solo in Europa, ma anche in numerose altre aree del mondo risulta sempre più decisivo per lo sviluppo e la democrazia. Costruire un sistema di regole che distingua tra chi può destabilizzare l’economia e chi, al contrario, opera per stabilizzarla rappresenta la soluzione migliore per evitare future crisi.
* Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari