Con 30 euro Marchionne ha spiazzato Luca
29 Ottobre 2007
di redazione
La scelta di Sergio Marchionne di dare 30 euro mensili ai lavoratori della Fiat sia come compartecipazione ai successi della compagnia torinese in questi mesi sia come anticipo sul contratto, risponde a una logica articolata. Da una parte, c’è una scelta strategica: l’amministratore delegato della Fiat procede nella sua rivoluzione della società e apre il capitolo delle relazioni industriali più o meno da sempre gestito a Torino con una visione arretrata.
A lungo la compagnia torinese, negli ultimi decenni, soprattutto dall’inizio degli anni Settanta%2C al di là di alcune meritorie iniziative dal sapore però marcatamente paternalistico, ha scelto di governare i suoi dipendenti con un accordo di vertice con la Cgil che dava centralità a quel sindacato, in cambio di minore conflittualità. Questa scelta ha prodotto in più di un caso lotte aziendali con tratti da jacqueries, dalla fine degli anni Settanta al recente sciopero di Melfi, e per funzionare ha richiesto un costante e anomalo aiuto dello Stato, come l’inverecondo ricorso ai prepensionamenti approvato con la finanziaria 2007. Costruire lo spazio per relazioni industriali corrette fa dunque parte del piano di modernizzazione marchionnesca.
Da un altro verso, i “30 euro” sono una risposta d’emergenza ai pasticci in cui ha cacciato la Fiat Luca Cordero di Montezemolo con la sua inetta politica “sindacale”. Tutto interessato a liberalizzare l’aspirina e ad abolire le comunità montane, il presidente di Confindustria con la sua dissennta poltica della mano tesa, senza principi né contenuti, alla Cgil ha preparato il caos della vertenza dei metalmeccanici in corso. Respingendo la possibilità di accordi separati, ha spinto Cisl e Uil nelle braccia della massimalista Fiom Cgil che sostiene un punto di vista inquietante non tanto perché chiede più soldi (oggi assolutamente necessari) ma perché li chiede in una logica egualitaristica e di gestione rigida dell’organizzazione del lavoro: esattamente il contrario di quello di quel che c’è bisogno.
In una fase di ripresa Marchionne si trova di fronte una Fiom, rafforzata non indebolita dal voto sul protocollo di luglio perché da sola contro Cisl e Uil ha raccolto più della metà del conenso della categoria per il “no”, e decisa a radicalizzare lo scontro. Da qui la necessità di raffredare subito gli animi e costruire il clima per una tregua.
Montezemolo sostiene che la scelta di Marchionne è stata assunta dopo significative consultazioni: le reazioni di Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica (l’associazione confindustriale del settore) fanno capire che ciò non è vero o lo è solo molto parzialmente. In realtà la federazione confindustriale interessata è stata scavalcata: e ciò è confermato dal fatto che hanno aderito alla mossa marchionnesca due esponenti confindustriali critici verso Calearo (e Montezemolo), Alberto Bombassei e Andrea Riello.
Montezemolo conta sui suoi amichetti nei giornali per dire che tutto è a posto nel migliore dei mondi possibili. Anche la sua successione viene presentata come idilliaca: la favorita Emma Marcegaglia e il secondo posizionato Bombassei avrebbero fatto un patto con il presidente uscente di rimanere nel solco tracciato. Due oppositori come Giorgio Squinzi e Diana Bracco non si presenterebbero, non perché (come è di fatto) non se la sentono di trascurare le loro aziende in crescita ma perché non vogliono sfidare il prestigio della confederazione montezemoliana. In realtà tra il disprezzo che gli mostra Marchionne facendo le sue scelte senza curarsi di Confindustria e i pasticci intorno al Sole 24 ore dove Montezemolo voleva piazzare Maurizio Beretta per un suo gioco di potere ma ha dovuto fare marcia indietro, il presidente uscente corre il rischio di andarsene con ben pochi apprezzamenti. Chi corre per viale dell’Astronomia ne dovrà tenere conto.