Con Bocchino capo di Fli Fini vira a sinistra ma rischia di perdere pezzi

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Con Bocchino capo di Fli Fini vira a sinistra ma rischia di perdere pezzi

14 Febbraio 2011

Il capo, i colonnelli, i maitre a penser, gli eletti, la base. Cosa resta della costituente futurista, spenti i fari sulle colline verdi dove Fini ha gettato il seme di una nuova primavera italiana? Un partito appena nato e già dilaniato dalle lotte di poltrona e di programma,  dove conta il metodo “democratico” in base al quale decide tutto il capo. Bocchino alla guida del partito, Urso ‘defenestrato’ sull’aereo di ritorno da Milano (vi era salito vicepresidente in pectore, ne è sceso retrocesso a portavoce), Della Vedova imposto capogruppo a Montecitorio (neppure questa opzione è toccata all’ex viceministro dello Sviluppo economico), Ronchi relegato a presidente dell’assemblea costituente. Moderati malpancisti che convocano riunioni poi rinviate di un giorno, intellettuali messi da parte in quattro e quattrotto, eletti che si chiedono da che parte si va. E il progetto? Nuova virata, stavolta verso l’union sacrée di D’Alema.

Dalle colline verdi, al grigio dei tatticismi. Non è solo questione di poltrone, anche se tra i colonnelli c’è chi come Urso, Ronchi e Menia per seguire Fini ha lasciato Palazzo Chigi per poi doversi accontentare delle ‘briciole’ di un organigramma che in barba allo spirito plurale e partecipativo (meglio se dal basso) della nuova destra futurista, quella che ambisce a togliere leader e voti al Pdl, è stato disegnato, voluto e deciso solo da Fini. La versione dei fedelissimi è che siccome non c’era accordo tra i vertici del gruppo dirigente, alla fine l’ultima parola doveva dirla il capo. E così è stato.

Di tutt’altro segno la ‘verità’ delle ‘colombe’ guidate da Pasquale Viespoli, presidente dei senatori ‘sconcertato’ su merito e metodo delle scelte compiute dal presidente della Camera e leader (autosospeso ma di fatto operativo) di Fli. Scelte che “hanno determinato squilibrio sul piano dei rapporti interni e ulteriori equivoci sul piano della linea politica”. Già, è questo il punto: la linea politica. Al di là del solito e ormai ritrito clichè antiberlusconiano condito col refrain ad effetto ‘è Berlusconi che ci ha cacciato’, nel suo intervento Fini tratteggia il Polo per l’Italia come il nuovo approdo del centrodestra, il porto sicuro dove accompagnare un popolo confuso e messo a dura prova da quindici anni di berlusconismo. E però non dice nulla sulle alleanze visto che in un sistema bipolare o si sta da una parte o dall’altra. E siccome la legge elettorale non è ancora stata modificata nonostante l’obiettivo tanto caro al presidente della Camera, a Casini e Bersani, un leader che chiama a raccolta il suo popolo per fondare un partito dovrebbe dire non solo dire contro chi si sta, ma anche con chi intende allearsi per governare. Fini glissa, e del resto non può far altrimenti visto che nel terzopolo è Casini a dettare la linea, nonostante la contesa tra i due sulla leadership. Omissione non da poco e motivo di insofferenza tra i moderati finiani. Da questo punto di vista, le parole di Viespoli sono chiare.

Il summit degli scontenti che il senatore finiano aveva convocato ieri per fare il punto slitta a oggi: ufficialmente perché molti senatori saranno a Roma solo oggi; ufficiosamente perché i contatti e i tentativi di mediazione col capo vanno avanti. Il motivo è semplice: Fini non può permettersi di perdere altri pezzi, dopo l’uscita da Fli di Moffa, Siliquini e Polidori (a novembre entusiasti della svolta a Bastia Umbra, il mese dopo nauseati dalla sconfitta sulla sfiducia a Montecitorio e per questo passati nelle file dei Responsabili). Non solo: un senatore che sbatte la porta e se ne va, in questo momento significa compromettere la stessa esistenza del gruppo finiano a Palazzo Madama (per mancanza di numeri, appunto). Fedeltà a Fini (col maldipancia che passa come con la portentosa pillola di Mary Poppins) o rottura, magari pensando a una nuova formazione quasi come quella di Moffa alla Camera? E’ il dilemma dei senatori in queste ore alle prese con le fibrillazioni della mediazione in corso. E tuttavia, al di là delle amarezze sull’organigramma, la preoccupazione delle ‘colombe’ è sul progetto di prospettiva, su cosa dire in caso di elezioni, su come riguadagnare visibilità e ‘peso’ dopo la linea oltranzista delle sfiduce che ha portato solo danni.

L’investitura di Bocchino alla guida del partito è per molti il segnale che il capo ha scelto la linea dura, ha preferito i falchi alle colombe, si è incamminato verso quella santa alleanza vagheggiata da D’Alema e in un certo senso anticipata dal pasdaran Granata che solo poche settimane fa indicava la via: alleanze con tutti pur di battere il Cav. E’ questa la nuova rotta futurista? E che c’entra con la destra? Del resto oggi gli uomini di Fini che hanno in mano le leve del comando di Fli sono i Bocchino, i Granata e i Briguglio, le Moroni. 

Ma il coro degli scontenti si allarga. Ieri si è aggiunta la voce dell’europarlamentare Muscardini che scrive al capo per dire che il vero problema in Fli non è la contrapposizione tra falchi e colombe, quanto il “metodo, le regole, i requisiti con i quali si designano incarichi e persone” che vanno stabiliti a monte, non imposti. La Muscardini contesta poi la mancata costituzione di una commissione ad hoc durante i lavori della costituente per trattare le questioni internazionali (situazione nel nord Africa con l’emergenza profughi, l’avanzata della Cina che si compra i debiti di alcuni Stato dell’Unione europea, il ruolo dell’Italia all’estero). E se a Roma Viespoli fa il punto coi senatori, oggi gli eurodeputati faranno altrettanto a Strasburgo.

La protesta delle colombe sarà solo una tempesta in un bicchier d’acqua? Molto dipenderà dalla disponibilità di Fini a tenere nel giusto conto le rimostranze di una parte (non minoritaria) del neonato soggetto politico e c’è anche chi tra gli ex aenne che stanno nel Pdl ed è buon conoscitore delle dinamiche finiane è pronto a scommettere che alla fine i maldipancia passeranno e tutti si adegueranno alla volontà del leader. Come, per esempio, sul voto per eleggere Della Vedova a presidente dei deputati: anche in questo caso l’umore dei moderati è a terra, specialmente per la linea intransigente dell’ex radicale-riformatore sui temi etici, difficile da conciliare con chi ha una visione, una cultura e una formazione cattolica. Le prossime ore diranno se la nave futurista si è già incagliata sul primo scoglio all’orizzonte.  

Per il momento  Granata dice che tutti servono e nessuno è indispensabile invitando i colleghi a concentrarsi sul partito e Della Vedova considera il malumore fisiologico “non essendo noi né una caserma né un a casermetta un partito che “vuole aprirsi a chi in questi anni ha avuto percorsi diversi da quelli di An”. Facile a dirsi per chi come lui è stato designato direttamente dal capo (proprio come avviene in una caserma), troppo poco per quanti, invece ,avrebbero sperato almeno in un dibattito o nella possibilità di sottoporre le indicazioni degli organigrammi al voto dell’assemblea “come si fa in ogni partito da che mondo è mondo”, spiega un ex aennino. 

Per Bocchino, invece, la notizia è un’altra: “Fini non ha commesso gli errori del passato: ci sarà una persona che guiderà il partito. Il coordinamento a tre sarebbe stato un pastrocchio”. Della serie: me la canto e me la suono. Chissà se avrebbe detto lo stesso nel caso in cui al suo posto ci fosse stato Urso, uno di quelli che forse più di altri ci ha messo la faccia e da viceministro è finito a fare il portavoce di Fli. Per non parlare dell’ex ministro Ronchi: per lui solo la presidenza dell’assemblea nazionale del partito.

Nel suo esordio al timone futurista Bocchino fa capire come intende muoversi: dice che le dimissioni di Fini da presidente della Camera sarebbero un danno per il paese perché così si consegnerebbe la Camera a Berlusconi (dove sta la politica?); dipinge scenari e dispensa indicazioni perfino al capo dello Stato. Nel caso in cui dovesse persistere la situazione di stallo e il conflitto politico lui “può chiamare i presidenti di Senato e Camera. Schifani dirà che va tutto bene. Fini spiegherà che il Parlamento è paralizzato”. A quel punto Napolitano chiama Berlusconi per “comunicargli che intende sciogliere il Parlamento, alla luce dei poteri che la Costituzione gli assegna”.  E se il premier dovesse barricarsi dentro il Palazzo e rifiutare di controfirmare lo scioglimento del Parlamento, Bocchino ha la soluzione: “A quel punto Napolitano manda le carte alla Corte Costituzionale, perché decida sul conflitto di attribuzioni. Sarebbe uno scontro senza precedenti”. Ragion per cui dopo aver vaticinato gli scenari, dice al Cav. cosa fare: o va dai magistrati a difendersi o fa un passo indietro indicando Gianni Letta, personalità “in grado di rasserenare il clima e il confronto in un alveo di centrodestra, per poi andare al voto dopo due anni”.  

Dai politici delusi agli intellettuali messi in disparte. Il giorno dopo la costituente futurista il professor Alessandro Campi, ideologo di Fli preferisce non commentare. Il suo errore? L’aver osato criticare il capo, essersi permesso di suggerirgli di dedicarsi al partito lasciando lo scranno più alto di Montecitorio per portare linfa e radicamento a un partito che dopo la batosta del 14 dicembre ha subito uno stop ed oggi rischia di andare al traino di Casini. La stessa sollecitazione che torna nei commenti del popolo web. La risposta di Fini:  fuori Campi dalla direzione scientifica di Farefuturo, pensatoio futurista. Paradosso: il metodo Fini è lo stesso che Fini contesta a Berlusconi.