Con Hamas a Gaza lo Stato palestinese è una chimera

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Con Hamas a Gaza lo Stato palestinese è una chimera

06 Maggio 2008

Indietro non si torna, l’obiettivo resta quello sancito dalla conferenza di Annapolis nel novembre 2007: una pace definitiva tra israeliani e palestinesi prima che George W. Bush lasci la Casa Bianca. È in quest’ottica che il segretario di Stato americano Condoleezza Rice è tornato in Israele e nei territori palestinesi, nel tentativo – ormai disperato – di rilanciare un negoziato di pace nel quale oggi credono davvero in pochi.

L’ottimismo, almeno di facciata, permane. “Continuiamo a ritenere un obiettivo possibile il raggiungimento di un accordo tra israeliani e palestinesi entro la fine dell’anno” ha scandito la Rice a Ramallah, mentre il portavoce di Olmert, Mark Regev, ha definito quelli di ieri sera con Abu Mazen “i più seri colloqui mai condotti fra le parti”. Ma il tempo stringe, e gli ostacoli paiono insormontabili: se infatti la Striscia di Gaza è sempre più uno Stato a sé, Olmert e Abbas appaiono leader stanchi e troppo deboli per imporre un negoziato che dovrà necessariamente scontentare cittadini di ambo le parti.

Il primo incontro la Rice l’ha avuto con il ministro della Difesa israeliano Barak: sul tavolo, la questione dei blocchi stradali israeliani in Cisgiordania. Nel corso della sua ultima visita, infatti, Israele aveva promesso a Condoleezza di rimuovere 61 blocchi nel West Bank: secondo le Nazioni Unite, però, i blocchi rimossi sono solo 44 – e di questi, gran parte minoritari. Sulla questione, sollevata sia con Olmert che con Barak, la Rice è irremovibile: “Stiamo cercando di guardare non solo alla quantità, ma anche alla qualità dei miglioramenti”. In altre parole: servono misure serie, non azioni di facciata. Il premier israeliano, intervenuto in televisione dopo l’incontro di sabato notte con Condoleezza, si è limitato a definire la questione dei blocchi stradali “parte degli sforzi per il processo di pace, che non si fermerà”.

Domenica la Rice si è poi spostata a Ramallah, dal leader dell’Anp Abu Mazen. Il segretario di Stato ha definito gli avamposti israeliani nel West Bank “particolarmente problematici per il necessario clima di fiducia tra le due parti”. Da parte sua, Abbas ha ringraziato l’amministrazione americana e si è detto impegnato al massimo sulla via della pace. Il leader palestinese ha mostrato però anche un certo realismo: “Vogliamo avere successo e dobbiamo raggiungere un accordo buono per entrambe le parti”, ma pensando alla situazione di Gaza ha aggiunto che “se non raggiungeremo un accordo, dobbiamo pensare a quale sarà il passo successivo”.

Lo scetticismo di Abu Mazen è giustificato dai fatti. Mentre la Rice visitava i territori, i razzi hanno continuato a piovere su Sderot: Qassam lanciati dalla Striscia di Gaza, dove Hamas domina incontrastato. E proprio Hamas, sul fronte palestinese, rappresenta il principale ostacolo sulla via di un accordo: non solo ha preso il controllo di quella che dovrebbe essere una parte del nuovo Stato palestinese, ma da qualche mese si comporta come se il West Bank e Abu Mazen non esistessero.

In questo scenario di divisione tra le principali fazioni palestinesi si collocano le ultime mosse di Hamas: i militanti della Striscia, in guerra contro l’esercito israeliano, hanno iniziato a “trattare” con Israele senza prendere in considerazione i “fratelli” di Fatah. La tattica di Hamas è quella del bastone e della carota: da un lato, per bocca dell’Egitto, propone a Tel Aviv una cessazione delle ostilità in cambio del ritiro israeliano entro i confini del 1967; dall’altro, nel caso in cui Israele non accetti suddette condizioni, fa sapere che ricorrerà a una “escalation senza precedenti” contro lo Stato ebraico. Un ricatto in piena regola: Abu Zuhri, portavoce di Hamas, fa sapere che “tutte le opzioni sono aperte. La palla è in campo israeliano”.

La guerra in atto tra esercito israeliano e militanti palestinesi al confine con la Striscia rende ineludibile la “questione Hamas” al tavolo delle trattative. Olmert e Abu Mazen continuano ad incontrarsi, cercando poi di far “digerire” necessarie concessioni ai propri cittadini: ma con Hamas saldamente insediato nella Striscia, ogni trattativa tra Israele e Anp è destinata al fallimento. A conferma di ciò, sono giunte ieri le parole del presidente israeliano Shimon Peres: in un incontro con la stampa  estera a Gerusalemme, Peres ha dichiarato senza mezzi termini che “se non fosse per Hamas e per il suo comportamento criminale, i palestinesi avrebbero avuto un loro Stato già da molto tempo”.

Consapevole del problema Hamas è poi la Francia, in procinto di assumere la presidenza dell’Unione Europea: giovedì notte, di fronte alla platea dell’American Jewish Committee, il premier Fillon ha rilanciato infatti l’ipotesi di un contingente internazionale per mettere fine alle violenze. “La Francia e l’Europa potrebbero, se le circostanze fossero favorevoli e le parti in causa d’accordo, prendere parte ad un contingente internazionale per supportare i servizi di sicurezza palestinesi” ha detto Fillon, riferendosi chiaramente ai “servizi di sicurezza” dell’Anp e di Abu Mazen: un’ipotesi da tempo nell’aria, alla quale Hamas si è detta però profondamente contraria.

Ma i problemi stanno anche in Israele: negli ultimi giorni, infatti, un’indagine per corruzione si è abbattuta sul capo di Olmert, minando seriamente l’iter delle trattative di pace. Venerdì il premier è stato interrogato nella sua residenza di Gerusalemme: si tratta della quinta indagine contro Olmert da quando è diventato primo ministro israeliano, due anni fa. Questa volta, però, la posta in gioco è molto alta: uno scandalo potrebbe portare a dimissioni ed eventuali elezioni anticipate, quindi al “cambio in corsa” di un protagonista dei negoziati.