Con il caso Bo Xilai il cambio al vertice cinese diventa più duro (e puro)
16 Marzo 2012
L’astro nascente della politica nazionale cinese, benché ultra-sessantenne, Bo Xilai è stato dimissionato dal Comitato centrale del partito comunista da padrone di Chongqing, una delle quattro super municipalità cinesi accanto a Beijing, Shanghai e Tianjin (quest’ultima è la città dove si trovava la concessione italiana). Assieme a Wang Yang – definito nel 1992 da Deng Xiaoping “magnifico talento”, Bo aveva creato un duetto politico, tanto da essersi meritati il comune nomignolo di ‘due cannoni’.
Un’ascesa, quella del dominus di Chongqing, fatta con una campagna neo-maoista di invii massicci di massime del ‘grande timoniere’ via sms, la riesumazione di grandi musical nella tv satellitare locale a controllo statale, grandi investimenti pubblici e una certa uggia per la dissidenza, anche interna al partito. L’anno fatto fuori l’altro ieri. Gli hanno tolto ‘le sue terre’ e mettendo fine alla sua corsa per un posto nel Comitato centrale del partito.
L’accusa non detta – le decisione del Comitato centrale non sono motivate – è quella di corruzione: nelle ultime settimane uno dei suoi vice-sindaci, Wang Lijun, sul quale pesava l’accusa di corruzione, aveva cercato rifugio presso il consolato americano della città di Chengdu, nel Sichuan, non lontano da Chongqing. Messo alla porta dopo una notte passata nella sede consolare american, è stato scortato a Pechino.
Un fatto che ha finito col gettare sui processi e le manovre interne cinesi i riflettori internazionali, in una fase particolarmente delicata, visto che come noto, il prossimo Novembre vi sarà il cambio al vertice della Repubblica popolare cinese, e ci si aspetta che a sostituire rispettivamente il presidente Hu Jintato e il premier (riformista?) Wen Jiabao, saranno l’attuale vice-presidente della Repubblica, Xi Jinping – di recente accolto alla Casa Bianca da Barack Obama – e Li Keqiang, già vice-premier di Wen.
In questo quadro successorio, tre gruppi di potere giocano la partita politica che vi soggiace – quello dei ‘principi rossi’, quello di coloro che provengono dalla ‘lega della gioventù’ del partito comunista cinese e quello della “cricca di Shanghai’, gli accoliti dell’ex-presidente Jiang Zemin, un gruppo molto indebolito a causa della perdita di potere ai vertici della Repubblica popolare cinese dell’ex-presidente.
Non ci si sbagli però: questa tripartizione non definisce per sé le tendenze politiche in seno al partito comunista cinese, ove attualmente esistono due grandi macro-gruppi che, con categorie occidentali, potremmo definire nella dicotomia liberali – conservatori. E non è detto che una stessa personalità politica non possa ricadere in più due di queste categorie o linee di demarcazione.
Bo Xilai rientrava sicuramente nella ‘cricca di Shanghai’, nel gruppo di potere espressione di Jiang Zemin (assieme a Yu Zehngsheng era considerato uno dei pochi capi provinciali espressione della cricca). Ma Bo è anche un ‘principe rosso’, un esponente dell’aristocrazia del partito: suo padre Bo Yibo era un rivoluzionario della Repubblica, titolo che non lo protesse durante la Rivoluzione culturarale 1969-76, quando fu arrestato e sua moglie uccisa di botte dalle Guardie rosse. Una posizione sociale e una storia familiare, quello che lo colpito durante la rivoluzione culturale, che lo rende molto simile, in profilo, al molto presidenziabilee molto ‘principe rosso’, Xi Jinping.
Quanto alla linee politiche sulle quali si muoveva, Bo Xilai veniva considerato un conservatore, un ‘neomaoista’, anche in ragione della gestione autocratica che, delle cose politiche di Chongqing, faceva fino all’altro ieri. Ma il fatto che andasse a braccetto con Wang Yang, un ‘riformista’, dice anche che Bo aveva capito che per tentare di avere un ruolo di spicco a Beijing, doveva trovare appoggio anche nel gruppo di Wen Jiabao, capo della fazione ‘liberale’.
Non è chiaro se si possa parlare di epurazione. Come ha dichiarato Ding Xueliang, ex-membro del partito comunista cinese al New York Times, “l’incidente Wang Lijun [di cui Bo è considerato in sostanza ultimo responsabile, nda.] ha cambiato le regole del gioco politico portando i riflettori sul partito comunista” in un momento particolarmente delicato.
Più che la sua linea ‘neomaoista’, con l’allontanamento di Bo viene punito, nel solito monito per gli altri (‘colpiscine uno per educarne cento’, diceva Mao), la sua incapacità di mantenere un profilo basso e di saper gestire le corruttele dei ‘suoi’ uomini, questo a maggior ragione se la sua propaganda locale faceva riferimento alla purezza dei padri rivoluzionari.