Con la Concordia è naufragata anche la stampa italiana
22 Gennaio 2012
di Daniela Coli
Al Giglio non è naufragata solo la Concordia, ma la professionalità della stampa e dei media italiani. Oggi anche un bambino sa che il traffico aereo e navale è continuamente monitorato da sistemi satellitari e a tutti sarà capitato almeno una volta di ascoltare in prossimità dell’arrivo l’annuncio del pilota che avvisa di dovere ritardare l’atterraggio per problemi di traffico all’aeroporto. Lo stesso accade per le navi, le cui rotte sono controllate da sistemi satellitari. Tutte le capitanerie italiane, compresa quella di Livorno, hanno poi installato dal 2009 un raffinatissimo sistema di sicurezza, di monitoraggio e di allarme, come si accorge La Stampa a una settimana dal naufragio, per il quale un cambiamento di rotta, una variazione di velocità e un avvicinamento alla costa come quello della Concordia avrebbe dovuto essere immediatamente rilevato e impedito, comunicando con la nave, come da terra si comunica con un aereo. La capitaneria di Livorno avrebbe dovuto intervenire molto prima del famoso “Venga a bordo, cazzo” e impedire che la Concordia si avvicinasse al Giglio.
La capitaneria di Livorno è venuta a sapere dell’incagliamento della Concordia dalla telefonata di un carabiniere di Prato, in seguito alla telefonata della figlia di una passeggera della Concordia che aveva visto crollare il soffitto mentre cenava. Senza la telefonata del carabiniere di Prato, chissà quando la capitaneria di Livorno si sarebbe accorta che la Concordia era uscita di rotta e aveva urtato uno scoglio. Si deve quindi dedurre che i giornaloni e il circolo mediatico italiano non abbiano alcuna idea di come funziona il traffico aereo e navale e abbiano mandato al Giglio cronisti incompetenti, come la solita Sarzanini, a cui interessa solo sapere se il comandante aveva l’amante a bordo. Dare tutta la colpa a Schettino fa comodo a tutti: alla capitaneria di Livorno, alla Carnival Corporate, il cui titolo è subito crollato in borsa, e alla Costa. Intorno a una nave da crociera ruotano enormi interessi e scaricare tutta la responsabilità sul comandante è la regola. Piero Calamai, il comandante dell’Andrea Doria, affondata nel 1956, si comportò eroicamente, rimase a bordo dopo aver messo in salvo i passeggeri, solo l’intervento dei suoi ufficiali riuscì a convincerlo a lasciare la nave, ma ebbe la carriera distrutta. Schettino ha certamente delle serie responsabilità, ma il linciaggio serve a rassicurare il turismo delle crociere, perché c’è sempre un capitan De Falco a mettere a posto le cose.
Poi ci meravigliamo se l’Italia non ha credibilità all’estero. Per qualsiasi incidente aereo e navale esistono le scatole nere e di solito, prima di non averle consultate, non si scatena alcuna gazzarra nei paesi civili. Abbiamo visto tutti la calma e la dignità con cui gli inglesi reagirono all’attentato del 7 luglio a Londra e come i media si adoperarono per non creare emotività, nervosismo e mostri. L’Italia ha dato ancora una volta l’immagine di un paese sbracato e la colpa è dei giornali e dei media se tutto il pianeta ha ricevuto questa rappresentazione del naufragio della Concordia. Così Aldo Grasso pensa di trovarsi di fronte a un western, scambia De Falco per John Wayne e ripete eccitato sul Corriere “Get on board, damn it”. La realtà, come sempre, diventa fiction.
Questa volta si è voluto anche inscenare la fiction dell’onore perduto con Schettino e ritrovato col capitano De Falco e con l’equipaggio ammutinato per salvare passeggeri: il Bounty alla livornese. Il Fatto ha scoperto in questi giorni che l’onore non è negoziabile, manca l’autorità e la gerarchia. Jacopo Fo invita la sinistra ad appropriarsi di valori come il senso dell’onore, della parola data e, quindi, via con le magliette con “Vada a bordo, cazzo!”. La parola onore non fa più parte della nostra cultura da tempo ed è associata alla mafia. Per rimetterla in circolazione e farla piacere alla sinistra occorre, appunto, immaginare un mondo privo di informatica ed elettronica dove la navi non sono monitorate dai satelliti e dalla capitanerie e tutto è in mano al timone del comandante Schettino codardo e puttaniere. Attendiamo un solenne discorso di Napolitano sul senso dell’onore, magari sventolando il tricolore.
Il Mediterraneo ha visto ben altro di una nave da crociera rovesciata al Giglio. Ha visto colare a picco la Roma, non la squadra di Totti, ma il gioiello della nostra marina, con più di milleduecentocinquanta marinai e un grande ammiraglio, il 9 settembre del ‘43. La Roma fa parte della storia di cui non si parla. Gli uomini della Roma e l’ammiraglio Bergamini morirono “dalla parte giusta”, affondati dai caccia tedeschi, ma è difficile ripetere l’operazione Cefalonia del presidente Sciampi, come lo chiamava Veneziani, e inserirli nel copione della storia ufficiale. E non ci sta nemmeno in quella del paese allo sbando, dei soldati confusi e impauriti, che vogliono tornare a casa. La Roma, come i cinquemila ragazzi della Folgore a El Alamein, è un pugno in faccia alla storia ufficiale. Seppe dell’armistizio, perché intercettò un messaggio radiofonico di Eisenhower e a bordo prevalse l’idea di autoaffondarsi. Poi sentì il messaggio di Badoglio e ubbidì all’ordine di trasferirsi alla Maddalena per consegnarsi alle marina britannica insieme alle nostre navi presenti nel Tirreno, ma rifiutò di ammainare la bandiera e, senza alcuna protezione aerea, andò a farsi affondare dai caccia tedeschi col gran pavese al vento, come nelle occasioni solenni. Tanto l’alta finanza italiana aveva già trattato la pace separata con gli angloamericani con Cuccia a Lisbona nel novembre del ’42, non c’era più bisogno di eroi.
Con questi media non dovremo meravigliarci se aumenta lo spread tra btp e bund. Il codardo Schettino rientra nella galleria dell’italiano vigliacco, opportunista e cialtrone resa celebre in tutto il pianeta dal nostro cinema: agli americani è tanto piaciuto Mediterraneo di Salvatores da dargli l’Oscar e i nostri media fanno di tutto per confermare quest’immagine. Inutile poi prendersela con i tedeschi se gli investitori preferiscono i bund: certo, tutti criminali nati dopo la seconda guerra mondiale, ma affidabili, perché hanno carattere, sono tenaci, seri, uniti. Mentre il cinema italiano ama mostrare un paese di vigliacchi e cialtroni, i tedeschi al passato hanno dedicato solo un film, Der Untergang ( La Caduta), nel 2004, e dopo la riunificazione della Germania. Per capire la differenza tra Italia e Germania, basta qualche scena di a Torto o a ragione di Szabò con ufficiale americano, un ex-assicuratore cafone interpretato da Harvey Keitel, che tortura Furtwängler, uno dei più grandi direttori d’orchestra del ‘900, per scoprire eventuali collusioni col nazismo, ma è soprattutto arrabbiato perché invece di ballare rock ‘n’ roll i tedeschi preferiscono ascoltare musica classica tra le macerie di Berlino. Comparato alla sbraco italiano, con le ragazze impazzite per il rock ‘n’ roll che si fanno rovesciare dai soldati americani, si capisce perché non siamo ritenuti affidabili. L’eccesso di zelo non è una virtù. Il solito Servegnini che sul Financial Times, in inglese barocco, fa l’inchino alla City, presentando l’Italia come un popolo di Schettino è appunto la dimostrazione che al Giglio non è naufragata solo la Concordia.