Con la Manovra arriva anche un fisco più amico dei distretti industriali

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Con la Manovra arriva anche un fisco più amico dei distretti industriali

03 Luglio 2008

Sarà stata l’immagine idealtipica di Robin Hood, saranno stati gli acuti contro banche, assicurazioni e petrolieri. Di fatto, le misure potenzialmente più impopolari degli ultimi anni sono diventate le più popolari in assoluto, segno che il “Tremonti di lotta” piace eccome.

D’altra parte è arcinoto che l’Italia è la terra del Popolo delle Partite Iva, dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese. Il precedente Esecutivo – ahinoi – faceva finta di non accorgersene, e con la scusa dello “sforzo ulteriore” o dell’ “evasione presunta”, la sua politica ha piegato la spina dorsale del Paese.

Oggi con la manovra il cambio di rotta è palese. Il governo ha realmente a cuore il tessuto imprenditoriale italiano, unica base da cui muovere per la ripresa della nostra economia, finora tanto invocata a parole ma altrettanto assente nei numeri.

L’attenzione del nuovo Esecutivo è ben catturata dagli interventi della “manovrona” triennale dedicata ai distretti.

Il concetto di distretto produttivo ha subìto nel corso degli anni numerosi arricchimenti ed evoluzioni, sia nelle teorie economiche sia negli interventi legislativi che lo hanno disciplinato. La prima definizione di «distretto» si riferisce ai distretti industriali ed è stata elaborata dall’economista Alfred Marshall, per il quale il «distretto industriale fa riferimento ad un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza».

Con la Legge finanziaria 2006 (governo Berlusconi), il Parlamento nazionale ha innovato il concetto di distretto, individuando nei distretti produttivi tutte le «libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali».

Le dimensioni. Non si tratta, neanche lontanamente, di un fenomeno nominalistico, di una tigre di carta. Secondo un censimento Istat del 2001, i distretti in Italia sono 168. In queste partizioni vive, si stima, il 22,1% dell’intera popolazione italiana. Sempre nel 2001, il numero di occupati nei distretti ammontava a quasi 5 milioni di persone.

I settori principali dei distretti industriali sono quelli tipici del Made in Italy: tessile ed abbigliamento; meccanica; beni per la casa; pelletteria e calzature; alimentare; oreficeria e strumenti musicali. I distretti «made in Italy» sono 148 su 156.

Ebbene, uno dei principali provvedimenti della manovra – bistrattati dalla grande carta stampata con la sola notabile eccezione di un eroico Alberto Quadrio Curzio sul Sole 24 Ore – è infatti l’assimilazione delle reti di imprese ai distretti industriali, le quali vengono così a godere di vantaggi in materia fiscale, contabile ed amministrativa: consolidato fiscale, partecipazione a gare con meccanismi consortili, agevolazioni IVA, semplificazioni amministrative.

L’obiettivo è quello di promuovere lo sviluppo delle imprese rafforzando l’integrazione per la filiera, favorendo lo scambio di tecnologie, di servizi, di collaborazione tra imprese.

Ancora più nel dettaglio, ciò che caratterizza il “Made in Italy” è il lavoro svolto a regola d’arte. Questa è la nostra forza. È la forza dei distretti. Le aggregazioni di imprese in centri produttivi hanno permesso di tramandare un know-how, di generazione in generazione.

Oggi la competizione globale per tante imprese comincia a pesare veramente troppo. Il governo viene incontro a questi problemi, riconoscendo la forza dei distretti industriali italiani, e propone facilitazioni ulteriori, generando le premesse per un nuovo dinamismo che permetta di individuare uno sviluppo unitario di politiche industriali per migliorare la nostra presenza anche nei mercati internazionali.