Con la moglie agli arresti, Mastella “getta la spugna”
16 Gennaio 2008
“Ho resistito a molte scorribande corsare sul fronte personale ora però getto la spugna, mi dimetto, ho paura, sono percepito come un nemico da frange estremiste delle toghe. Mi dimetto, tra il potere e l’amore scelgo l’amore per la mia famiglia. E’ vile e ignobile aver preso in ostaggio mia moglie. Mi è stata tesa una trappola. Mi dimetto perché sia recuperata la responsabilità delle toghe”. Clemente Mastella arriva nell’aula della Camera alle 10 e 45.
Il Guardasigilli, da calendario, dovrebbe parlare di riforma della giustizia ma la notizia rimbalzata nelle prime ore del mattino da Napoli impone un cambiamento di rotta, una virata clamorosa, una presa d’atto che il suo ruolo è ormai incompatibile con le vicende giudiziarie di cui è protagonista la sua famiglia.
Il provvedimento è di quelli pesantissimi, di quelli che possono cambiare la storia stessa della vicenda politica di questo governo, mettendone in dubbio la stessa sopravvivenza.
Per Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio regionale della Campania e moglie del ministro, sono infatti scattati gli arresti domiciliari nella casa di Ceppaloni, paese natale suo e del marito. Una decisione presa dalla procura di Santa Maria Capua Vetere. L’ipotesi di reato è tentata concussione nei confronti del direttore generale dell’ospedale di Caserta.
Un’inchiesta partita da intercettazioni a carico di un consuocero della signora Mastella.
Le prime dichiarazioni dell’indagata sono misurate, anche se danno subito una lettura e una interpretazione politica dell’accaduto. “Apprendo dalla televisione la notizia. Sono serena e pronta a fornire qualsiasi chiarimento. Credo che anche questo è l’amaro prezzo che, insieme a mio marito, stiamo pagando per la difesa dei valori cattolici in politica, dei principi di moderazione e tolleranza contro ogni fanatismo ed estremismo”.
Il marito-ministro, appresa la notizia, annulla tutti gli impegni, a partire dalla presenza alla cerimonia del giuramento degli allievi della scuola di polizia penitenziaria a cui avrebbe dovuto partecipare in mattinata a via Arenula. Il solo appuntamento confermato è la relazione annuale del Guardasigilli alla Camera sullo stato della Giustizia in programma poco prima delle undici.
Un appuntamento che diventa l’occasione per uno sfogo sulla sua condizione di “assediato” e per l’ufficializzazione delle sue dimissioni.
“Oggi a me, in questa giornata molto particolare, mi è dato solo prendere atto di questa scientifica trappola che mi è stata tesa in modo vile. Così come è altrettanto vile prendere in ostaggio mia moglie. Vi parlo con il dolore nel cuore di chi sa e di chi è stato colpito negli affetti più profondi. Io pensavo a parte che la frattura fra magistratura e politica potesse essere ricomposto. Ma oggi mi accorgo che non è possibile. Sono percepito come un avversario da contrastare o da abbattere”. Mastella aggiunge di attendere “serenamente” il giudizio. “Nessuno si illuda, però. Da altre postazioni continueremo a combattere la nostra battaglia, con un’esperienza e delle ferite in più, consapevoli di essere arrivati al vero nodo della democrazia – lo scontro sotterraneo e violentissimo tra i poteri – avendo subito ora, da ministro della Giustizia, quello che dopo 30 anni di specchiata carriera politica non avevo mai subito e non avrei mai immaginato”.
“In un Parlamento mai così incerto ho coltivato l’illusione di poter riformare la magistratura con la collaborazione della stessa. Ma è partita una caccia all’uomo, una persecuzione umana nei miei confronti. Tutta la mia famiglia è stata intercettata, tutto il mio partito è stato seguito dalla procura di Potenza, un vero tiro al bersaglio. Mi dimetto perchè ritengo, anche dopo la mia dolorosa esperienza –continua l’ex Guardasigilli – che vada recuperata la responsabilità, almeno civile, dei magistrati, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo. Ho trovato nel corso della mia attività istituzionale una stragrande maggioranza di magistrati seri e imparziali, ma mi sono imbattuto anche in alcuni che fanno del pregiudizio, soprattutto contro la politica e i politici, la ragione di vita della loro attività professionale”. “Come ci si può difendere però da questi, il cui potere di interdizione e di delegittimazione è senza confini?” si chiede Mastella.
“Mi dimetto perchè tra l’amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo. Avrei potuto operare sottili distinguo. Mi dimetto per essere più libero umanamente e politicamente, mi dimetto sapendo che un’ingiustizia enorme è la fonte inquinata di un provvedimento perseguito con ostinazione da un procuratore che l’ordinamento manda a casa per limiti di mandato e di questo mi addebita la colpa. Colpa che invece non ravvisa nell’esercizio domestico delle sue funzioni per altre vicende che lambiscono suoi stretti parenti delle quali è bene che il Csm o altri di occupino”.
Alla fine l’aula della Camera si profonde in un lungo applauso. E con la sola eccezione di Francesco Storace i parlamentari esprimono una corale solidarietà umana e politica all’ormai ex ministro. Dai banchi del centrosinistra la richiesta è di quella di ripensarci e di continuare a tenere in piedi l’esperienza di governo. E il centrodestra, con Roberto Maroni, chiede a Mastella di rimanere ma di “porre fine allo scempio e combattere la casta dei magistrati”. Ancora più duro Roberto Castelli che fa notare come gli “orabastisti”, ovvero coloro che hanno più volte minacciato nelle ultime settimane di uscire dal governo, siano stati tutti colpiti da indagini sulle loro consorti.
Ma l’indignazione è diffusa. E Pier Ferdinando Casini, con toni per lui insoliti, parla apertamente di “emergenza democratica” e di “impazzimento del potere giudiziario”.