Con la morte di Breitbart l’America conservatrice perde un vero guerriero

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Con la morte di Breitbart l’America conservatrice perde un vero guerriero

02 Marzo 2012

Andrew Breitbart se n’è andato il 1° marzo. Nato il 1° febbraio 1969, aveva 43 anni. Lascia la moglie Susannah Bean, di 41 anni, e i loro quattro figli. Fa un strano effetto confrontarsi con la scomparsa di una persona più giovane di sé. Ma la cosa più importante da sottolineare ora è che con la morte di Breitbart il mondo conservatore statunitense perde una punta di diamante. Per quel mondo, infatti, Breitbart ha fatto tante cose e tutte importanti.

Ultima in ordine tempo, lungo una carriera breve ma ricca e significativa, è l’essere stato un esponente importante e per certi versi una bandiera dei “Tea Party”. Di quell’universo, del resto, o quantomeno della sua strategia leaderless, a “macchia d’olio” e “policentrica”, Breitbart era stato un precursore, interpretando al meglio le potenzialità comunicative del web di cui è stato un protagonista, per esempio attraverso i diversi siti di critica e di analisi di cui negli anni si è fatto promotore: Breitbart.com, Breitbart.tv, Big Hollywood, Big Government, Big Journalism e Big Peace, un’intersezione virtuosa di “spazi di libertà” che è stata una vera e propria macchina da guerra propagandistico-culturale.

Del resto, Breitbart conosceva bene le insidie del nemico. In origine era un liberal, ma mutò drasticamente opinione politica al tempo in cui il giudice Clarence Thomas finì sulla graticola dei progressisti che cercavano d’impedirgli la nomina alla Corte Suprema accampando scuse di ogni tipo e di eterna memoria, ma in realtà avendo solo in fiero odio l’altrettanto fiero credo di Thomas nel diritto naturale. Da quel momento in poi, Breitbart ha amato definirsi un “conservatore reaganiano”, puntando cioè diritto al cuore stesso della Destra culturale americana prestata alla politica. 

La sua penna ha così potuto esprimersi al meglio su The Wall Street Journal, National Review e The Weekly Standard, ma pure la sua voce squillare dagli schermi di Fox News. Un altro lato della sua poliedrica personalità merita però qui un pensiero serio. Breitbart è infatti stato uno dei grandi sdoganatori dei “gay Repubblicani”, che sono per esempio riuniti nell’associazione GOProud. Gente di destra, però, non i soliti “Rockefeller Republican” con il vizietto o quinte colonne della Sinistra infiltrate nel Grand Old Party.

Il fatto, ovviamente, ha scatenato più di un contrasto duro nella Destra statunitense e ha pure causato “scismi”; ma, per delicata che la questione sia, il “cronista” del conservatorismo statunitense, e ancora di più il “tassonomo” della sua storia, non può esimersi dal prendere atto dell’esistenza di omosessuali di destra anti-liberal  – “homocon", sono stati definiti -, registrando la rilevanza oggettiva del fatto. Peraltro, Breitbart ha fatto lo stesso in tempo a prendersi dalle Sinistre dell’“omofobo”, finendo poi per ritirare l’appoggio a GOProud per via di una serie d’insopportabili questioni interne che rischiavano di distruggere completamente il valore di testimonianza politica con cui in origine Breitbart aveva concepito il proprio sostegno a quel mondo.

Senza lui oggi il conservatorismo occidentale è un poco più povero. Mancherà la tensione etica, il valore professionale, la voglia di non digerire mai acriticamente l’ingiustizia che hanno sempre contraddistinto l’opera di Breitbart. Con lui l’Occidente intero perde un sincero amico: con lui e con un altro grande conservatore statunitense scomparso prematuramente e che vale la pena di ricordare assieme a Brietbart in questa sede.

Si tratta di Tony Blankley (Anthony David Blankley, nato il 21 gennaio 1948), morto il 7 gennaio. Londinese naturalizzato statunitense, Blankley era stato addetto stampa di Newt Gingrich ‒ già, nel 1994, presidente della Camera federale di Washington – ed era commentatore televisivo, giornalista, opinionista nonché storico autore di studi seri. Visiting Fellow alla prestigiosa The Heritage Foundation di Washington, nel 2005 Blankley pubblicò un libro fondamentale, fortunatamente tradotto anche in italiano, L’ultima chance dell’Occidente (Rubbettino, Soveria Mannelli [Catanzaro] 2007). Blankley era un osservatore intelligente. In quel suo bel libro evidenzia con chiarezza un fatto ineluttabile: il nostro mondo ha le ore contate se non passa presto ai ripari.

Lo minaccia lo spettro dell’Eurabia da fuori e lo perseguita il mostro del relativismo da dentro. Chiave di molto, se non proprio di tutto, è per Blankley la questione demografica, con un Occidente che, sempre meno prolifico, si nega in questo modo da sé alcune delle armi più efficaci per preparare la riscossa. Per di più, adesso che soldati ottimi come Bretibart e Blankley sono caduti sul campo, la battaglia dell’Occidente si fa più dura da vincere. Non dimentichiamocene, né di questo monito né di Andrew e Tony.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.