Con la (quasi) certa vittoria di Jibril adesso la Libia può sperare di farcela

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Con la (quasi) certa vittoria di Jibril adesso la Libia può sperare di farcela

14 Luglio 2012

I risultati elettorali delle prime elezioni parlamentari “libere” in Libia non sono ancora definitivi, ma sembra che a vincere fortunatamente non saranno i Fratelli musulmani, come è invece accaduto in Tunisia, Egitto e Marocco, ma sarà la coalizione guidata da Mahmoud Jibril, 60 anni, leader delle 55 liste che formano ‘l’Alleanza delle Forze nazionali’.

Si tratta di un gruppo considerato moderato, o addirittura liberale, ma naturalmente la cautela è d’obbligo, anche perché dal 1969, ovvero da quando il colonnello Muammar Gheddafi prese il potere, la Libia non ha conosciuto partiti politici o complessi sistemi elettorali. Ora invece, come spiega dettagliatamente il Wall Street Journal, dei 200 posti del Congresso Nazionale Generale, 120 saranno riservati ai candidati indipendenti ( in tutto ben 2.639), la vasta maggioranza dei quali non ha esperienza politica precedente, mentre 80 seggi andranno ai partiti che si sono organizzati solo in queste ultime settimane.

Dal canto suo Mahmoud Jibril, ex docente all’Università di Pittsburgh in Pensylvania, dal Marzo 2011 fino alle sue dimissioni nell’Ottobre dello stesso anno, è già stato premier del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), l’organismo politico che ha guidato le forze sostenute dalla Nato e che hanno condotto all’eliminazione di Muammar Gheddafi.

Ora che sta per essere proclamato vincitore, Jibril è già un personaggio contestato in patria. Milizie di rivoltosi lo accusano di stare troppo all’estero a farsi la bella vita “in alberghi a cinque stelle, mentre in Libia i giovani muoiono”; altri parlano dei suoi capitali privati in Svizzera e negli Stati Uniti, favoriti dai suoi buoni rapporti con Saif al-Islam, figlio e delfino dell’ex rais libico. Per altri ancora, Mahmoud Jibril sarebbe un “accentratore e autoritario come Gheddafi”.

Quel che è indubbio è che Jibril ha anche il merito di essere entrato in forte contrasto (ben più che con il presidente a suo tempo) con il salafita Abdel Hakim Belhaj, che è stato responsabile militare delle milizie di Tripoli ed è ora a capo del partito integralista islamico “Al-Watan”, “La Nazione” ( in gioventù aveva anche progettato di assassinare il Colonnello, poi aveva fatto parte dei talebani filo Al-Qaeda in Afghanistan e infine era stato consegnato dalla Cia alle galere libiche).

Dopo la presa di Tripoli e la vittoria delle forze ribelli, Mahmoud Jibril si era preso una “pausa di riflessione” dalla politica, ma aveva dichiarato che, se ci fosse stato “bisogno”, sarebbe stato pronto a tornare per il Paese, come in effetti è successo poco tempo dopo. Le parole del probabile nuovo presidente libico, che finora non ha rivendicato la vittoria e si è rifiutato di commentare i risultati elettorali, sono incoraggianti: “L’ideologia è morta”, ha sentenziato. “La Libia non è la Tunisia o l’Egitto. Noi vogliamo costruire un Paese … senza classificazioni e barriere”.

Le priorità della sua coalizione sono infatti nazionalistiche, non religiose: puntano cioè alla sovranità e allo sviluppo nazionale. Una visione politica confermata al Wall Street Journal anche da un alto membro della coalizione di Jibril: “Abbiamo deciso su un fronte unitario … Non vogliamo lasciare il Paese agli estremisti”. La Libia infatti teme il settarismo religioso e quei partiti fondamentalisti che ricevono finanziamenti soprattutto dall’estero, in primis dal Qatar (peraltro il principale sostenitore di tutta la “Primavera Araba” e storico supporter dei Fratelli musulmani).

Grande è l’entusiasmo dei libici per il loro appuntamento con la Storia e molti vogliono autenticamente chiudere con il passato, senza però farsi influenzare troppo dall’islam, a quanto sembra (ma esserne condizionati in parte sarà comunque inevitabile).

A differenza di quanto è accaduto in Egitto, per esempio, gli astenuti  al voto sono la minoranza: si è recato alle urne il 63% degli aventi diritto, ovvero circa 1,7 milioni di elettori, sui 2,8 registrati, o forse anche di più. Inoltre i Fratelli musulmani di “Al-Watan” e di “Giustizia e Sviluppo” non solo non hanno contestato i risultati elettorali provvisori, ma hanno anche ammesso di aver perso nella capitale Tripoli e nell’altra principale città libica, Bengasi, mentre hanno dichiarato di aver vinto a Misurata.

Ora non rimane che attendere i risultati definitivi e comunque e sperare che la leadership nazionalista non si lasci sfuggire l’occasione di dimostrare che può esserci prosperità e diritto anche senza l’estremismo islamico dei Fratelli musulmani et alia.