Con la sanatoria per gli extracomunitari si accolgono anche i pregiudicati
14 Giugno 2011
La sanatoria colf e badanti del 2009 potrebbe trasformarsi in vero affare per gli stranieri irregolari e pregiudicati. Sì, proprio “pregiudicati”: stranieri, cioè, che si sono macchiati del delitto di violazione dell’ordine di un Questore di lasciare il territorio dello Stato e per il quale è prevista la punizione di una pena fino a 4 anni di reclusione con arresto obbligatorio. Infatti, è proprio nei confronti di questi stranieri, irregolari e pregiudicati, che lo Stato italiano potrebbe ritrovarsi a dover sborsare un risarcimento per discriminazione. Discriminazione, cioè, per non aver loro riconosciuto la sanatoria, cosa invece avvenuta per gli stranieri solo irregolari (e non anche pregiudicati), sulla base di un delitto che una Direttiva Ue avrebbe successivamente inteso cancellare. Il risarcimento ammonta a circa 400 euro mensili, da calcolarsi dal 28 aprile 2011 fino alla cessazione del comportamento discriminatorio (ossia fino al riconoscimento della sanatoria).
La decisione è nelle mani del giudice del lavoro del Tribunale di Brescia, al quale si è rivolta la Cgil di Brescia, l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la Fondazione Guido Piccini per i diritti dell’uomo e alcuni stranieri rimasti fuori sanatoria ricorrendo contro il Ministro dell’interno e il Prefetto di Brescia. Ma che cos’è successo? E’ successo che, nel mese di settembre 2009, una legge consentì a parecchie migliaia di stranieri irregolari e lavoratori in nero come colf e badanti di regolarizzazione sia la permanenza in Italia che il rapporto di lavoro. Qualcosa andò storto, però, per alcuni. Nel corso dell’istruttoria della regolarizzazione, infatti, alcune questure non fornirono il placet a quanti si trovavano in Italia nonostante fossero colpiti da ordine di espulsione. Ciò sul presupposto che la regolarizzazione non dovesse operare nei confronti degli stranieri con la fedina penale non del tutto trasparente. Insomma, veniva negata la sanatoria, previa notifica di una nuova espulsione. A maggio scorso il colpo di scena: il non aver obbedito a un ordine di espulsione non è motivo ostativo alla sanatoria del 2009.
A stabilirlo il Consiglio di stato in Adunanza Plenaria (con sentenze 7 e 8 del 10 maggio 2011), sulla base di indirizzi della Corte di giustizia Ue e, soprattutto, in considerazione della scadenza del termine (25 dicembre 2010) per la ricezione della Direttiva n. 1152/2008 (cosiddetta “direttiva rimpatri”) che cancella il reato di violazione dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato. Dinanzi a quel principio giurisprudenziale, il ministero dell’interno riapre la sanatoria a favore degli stranieri esclusi (irregolari e pregiudicati). Con nota del 24 maggio 2011, infatti, dice che le pratiche devono essere riesaminate d’ufficio e risolte pacificamente, cioè accordando la regolarizzazione. Ma passa un giorno e il 26 maggio arriva il dietrofront. In una nuova nota, il ministero “prega di considerare temporaneamente sospese le indicazioni del 24 maggio”. Da allora il Viminale tace.
Il silenzio del ministro Maroni, evidentemente, ha favorito l’ingegno di altri. Infatti, con un ricorso al Tribunale di Brescia, è stata inventata e perseguita una condotta “discriminatoria” del Ministro dell’Interno e del Prefetto di Brescia. E’ una “situazione paradossale”, scrivono i ricorrenti, quella che si è venuta a creare nell’ordinamento a seguito della sentenza del Consiglio di Stato. "Vi sono infatti, nel solo territorio bresciano, oltre 800 stranieri (e varie migliaia in tutta Italia) che, in forza delle predette pronunce, avrebbero pieno diritto di vivere e lavorare regolarmente nel nostro territorio, ma che ciononostante non vengono posti in condizioni di farlo". Secondo i ricorrenti è questa una "“detenzione di fatto” dello straniero all’interno della prigione della clandestinità". Ciò "oltre a costituire una insopportabile ingiustizia rileva anche sotto il profilo della discriminazione", in quanto "il comportamento omissivo del Ministero preclude a quella parità di trattamento che l’ordinamento invece garantisce al lavoratore regolarmente soggiornante".
Morale della favola il ricorso denuncia come “assolutamente certo un danno patrimoniale” sofferto dagli stranieri. E’ colpa del ministero se i ricorrenti (stranieri irregolari e pregiudicati) "non hanno potuto proseguire il rapporto alle dipendenze del datore di lavoro che aveva promosso la procedura di emersione"; è colpa del ministero se "hanno pertanto perso il reddito derivante da un rapporto di lavoro che avrebbe dovuto proseguire"; è colpa del ministero se "non hanno potuto muoversi liberamente sul mercato del lavoro alla ricerca di nuove opportunità occupazionali"; è colpa del ministero se "non hanno potuto iscriversi al Ssn, né beneficiare di alcuna prestazione sociale, né iscriversi all’anagrafe, ecc.".
Insomma "il danno patrimoniale è certo e può essere quantificato in via equitativa". Fatti i conti ammonta a un importo non inferiore a 400 euro mensili, cioè allo stesso importo previsto per i domestici non conviventi. Ovviamente, chiude il ricorso, "il pagamento viene richiesto non solo in favore dei ricorrenti, ma anche in favore degli altri stranieri che si trovano in analoghe situazioni".