Con la sentenza Antonveneta si chiude il romanzo corsaro della finanza italica
30 Maggio 2011
Sabato scorso la seconda sezione penale del tribunale di Milano ha riscritto una parte fondamentale della nostra storia finanziaria, condannando tutti i protagonisti del tentativo di scalata all’Antonveneta: 4 anni di reclusione inflitti al precedente governatore di Bankitalia Antonio Fazio, 3 all’ex presidente di Unipol Giovanni Consorte, poco meno di 2 al banchiere lodigiano Giampiero Fiorani. Neanche le comparse più marginali potevano sfuggire al gran ballo dei colpevoli. Declaratorie di condanna sono state elargite a senatori della Repubblica (Luigi Grillo), imprenditori (Luigi Zunino), ed alla stessa società Unipol sono state inflitte sonore multe e disposte confische milionarie.
L’inconfessabile trama di soldi, potere e complicità che nel 2005 voleva costituire nuove auctoritas nel sistema bancario italiano ha finalmente preso forma (processuale), e lo stanco elenco di pene e sanzioni accessorie oggi non importa granchè; perchè dietro le qualifiche penali si nascondono storie e misfatti, e la cricca di Fazio, Fiorani e compagnia risponde a vario titolo di aggiotaggio. Il che può dir niente, in realtà dice tutto. Ed allora, per non rischiare di perdersi nel territorio accidentato del crimine finanziario, un chiarimento tecnico è preliminare, rispetto al trarre le doverose conclusioni di questa vicenda. La finanza ha molte regole, così tante da non averne per davvero. La formazione del prezzo delle azioni, come di ogni altro strumento finanziario, passa unicamente per la fisiologica simmetria informativa, per la correttezza di ciascun operatore del mercato: tutti sanno quanto sanno gli altri, illudendosi che le regole del gioco valgano indistintamente per ciascun operatore. E’ questo stato di cose che la legge può preservare, nulla più.
L’aggiotaggio è condotta paradigmatica perchè esattamente antitetica. Con le modalità più varie si manipola il valore di un titolo, si abusa di impropri suggerimenti arrivati da parte di chi sa più di altri, si realizzano scalate e discese agli inferi del denaro con facilità rabdomantica. Ecco che una competizione (già di per sè) senza regole non è più neanche competizione, ecco come una modestissima banca dell’entroterra lombardo ha potuto sfidare ad armi impari un colosso del calibro di Abn Amro. Se poi si è benedetti nell’impresa dal capo della banca centrale – di quello che dovrebbe essere organismo di vigilanza per eccellenza -, si elegge il mercato azionario a salotto di casa propria, invitandoci a banchettare amici e conoscenti, in spregio di qualsiasi normativa e decenza.
Le pene draconiane inflitte trovano per questo una giustificazione ampia, ed una valenza ancor più estesa: il variegato presepio del capitalismo italiano si riscopre oggi – e forse per la prima volta- meno ingenuo di quanto si credesse. Almeno però, nudo dinanzi la legge, talvolta violenta nell’essere ed efficace nella sostanza, pur nell’ovattato mondo finanziario, dei capitali (veri e fasulli) e delle transazioni economiche (più fasulle che vere). Anche se poi – perchè nasconderselo?- la finanza corsara non ha mai meravigliato nessuno. La spregiudicatezza d’azione sui mercati, si sa, viene sanzionata davvero (e non da tanto) solo oltreoceano, dove i tribunali federali hanno dispensato patrie galere ai financial offender come fosse acqua fresca.
Ma i nostrani Francis Drake questa volta avevano davvero esagerato. Sono saltati a bordo del vascello di Bankitalia coltello ben conficcato tra i denti e pronti a razziare il razziabile, con il comandante hanno progettato il riassetto bancario più clamoroso ed improbabile. Ma almeno, il tutto all’insegna dell’italianità, perbacco. Ed oggi non Salgari, ma i giudici milanesi hanno finalmente tratteggiato con mano ferma l’ epopea criminosa dei "furbetti del quartierino", icone di un capitalismo all’italiana arraffa-tutto (alla bell’e meglio) e declinato al peggio, costi quel che costi. L’affaire Antonveneta, sviluppatosi tra telefonate notturne, baci sulla fronte come ricompensa, amici che spifferano notizie a presunti amici, trova oggi anche un degno epilogo giudiziario, non meno roboante dell’incipit. Del resto, la finanza è fatta anche di questo: se non avesse simili tratti romanzeschi, sarebbe faccenda da contabili. E giudici, al massimo.