Con la Siria non bastano le parole ci vogliono i fatti

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Con la Siria non bastano le parole ci vogliono i fatti

13 Luglio 2011

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nelle parole dell’ambasciatore tedesco Wittig, ha condannato "nei termini più forti" gli attacchi alle ambasciate di Francia e Stati Uniti, sottolineando che le autorità siriane sono tenute a proteggere il personale diplomatico e le sue proprietà. Una reazione che in ogni caso non sembra sufficiente a fermare la repressione di regime. 

"Il presidente Assad non è indispensabile e non abbiamo investito assolutamente nulla perché rimanga al potere. Se qualcuno, lui compreso, crede che gli Stati Uniti sperino segretamente che il suo regime possa emergere dalla rivolta per continuare nella brutalità e nella repressione, ebbene si sbaglia", aveva detto il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, condannando in modo inequivocabile quanto avvenuto a Damasco: l’assalto alle ambasciate da parte di centinaia di sostenitori del presidente siriano Bashar al-Assad.

Un’aggressione originata dalla visita di venerdì scorso da parte degli ambasciatori di Washington e Parigi, Robert Ford e Eric Chevallier, alla città di Hama, uno dei luoghi simbolo della rivolta del popolo siriano, teatro di ripetuti e violenti scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. I due Paesi occidentali avevano così voluto testimoniare il loro impegno a fianco delle vittime della repressione, suscitando la reazione del regime, che ha accusato Usa e Francia di "sobillare le proteste, interferire con gli affari interni della Siria, minarne la sicurezza".

Questo è bastato a far sì che un folto gruppo di sostenitori di Assad scendesse in strada a manifestare e a tentare l’assalto alle due ambasciate. Un tentativo arginato dalla polizia, ma non prima che alcuni dei manifestantifossero riusciti a salire sul tetto della sede americana, mentre tre agenti venivano feriti nell’attacco all’ambasciata francese.

La scarsa prontezza con cui le autorità di sicurezza siriane hanno protetto l’ambasciata americana ha scatenato la formale condanna della Siria da parte degli Stati Uniti. Nonostante il regime definisca "spontanea" la rabbia che ha portato all’assalto alle sedi diplomatiche, sono in molti a sostenere che la manifestazione sia stata orchestrata dallo stesso governo di Damasco: delle centinaia di sostenitori del regime, chiamati in Siria "mnhebbak" ("ti amiamo", in riferimento ovviamente ad Assad), farebbero parte attivisti di partito e mercenari. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha anche sottolineato che  "una stazione televisiva pesantemente influenzata dalle autorità siriane" ha incoraggiato la manifestazione violenta.

La regia del regime dietro alla manifestazione e all’assalto alle ambasciate costituirebbe pertanto un’escalation nella tattica della paura, mediante la quale il governo di Damasco, in questi mesi, ha cercato di indurre i Paesi occidentali a esprimersi solo con condanne verbali (nonostante le sanzioni economiche poste al regime dagli Stati Uniti e dall’Unione europea). Ecco quindi che un gesto dal forte impatto simbolico, quale la visita degli ambasciatori americano e francese nella città emblema delle rivolte, ha scatenato la reazione della frangia pro-Assad, in una sorta di avvertimento all’Occidente a non procedere oltre nel sostenere la rivolta.

Le parole della Clinton, "Assad ha perso legittimità", insieme al comunicato proveniente dal Ministero degli Esteri francese, "La Francia condanna con la più grande energia la violazione flagrante della Siria in materia di diritto internazionale", esprimono una presa di posizione netta e che potrebbe aver messo in conto persino la rottura dei rapporti diplomatici tra le due potenze occidentali e il regime alawita. Ma non abbastanza per rovesciare gli Assad.