Con la vittoria di Niinistö la Finlandia svolta definitivamente a destra

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Con la vittoria di Niinistö la Finlandia svolta definitivamente a destra

07 Febbraio 2012

Sauli Niinistö stravince le elezioni presidenziali in Finlandia e certifica il completamento della svolta a destra che il paese aveva incominciato ad aprile scorso. Prima le elezioni parlamentari vinte di misura dai conservatori del Partito di Coalizione Nazionale e segnate dal boom dei Veri Finlandesi; poi le presidenziali dominate da Niinistö, che del Partito di Coalizione Nazionale è uomo di punta.

Dopo aver vinto largamente al primo turno, al ballottaggio di domenica scorsa Niinistö ha superato senza difficoltà il candidato della Lega Verde, Pekka Haavisto: 62,6% contro 37,4%. Un risultato ampiamente previsto dai sondaggi. Vince Niinistö, vince la sua critica costruttiva all’Unione europea, vince la sua linea sull’euro, moneta da sì da conservare ma anche da proteggere e riformare. Vince anche la sua persona. Gli vengono riconosciute competenza politica e competenza economica. La gente lo ritiene una figura indipendente. Il quotidiano Helsingin Sanomat, una manciata di giorni prima del voto di domenica scorsa, lo descriveva come un uomo che sa dire senza dire, ricco di sfumature, capace di apparire come un outsider quando in realtà proviene dai circoli della politica.

Il suo partito gli aveva chiesto di candidarsi già alle presidenziali del 2000, ma Niinistö aveva preferito lasciar perdere, correndo invece per quelle del 2006 e venendo sconfitto di misura dalla socialdemocratica Tarja Halonen. Stavolta non c’è stata partita. Niinistö ha rubato un’infinità di voti ai laburisti e ha sfondato tra i conservatori. Al secondo turno lo hanno preferito gli elettori dei Veri Finlandesi e del Partito di Centro, ma pure quelli Partito Popolare Svedese e della Democrazia Cristiana. Ha conquistato soprattutto gli over 50. Tanti a sceglierlo, e delle più diverse estrazioni sociali: hanno votato per lui gli operai, i colletti bianchi, i conservatori, gli euro-scettici.

Euro-scettici, appunto. I media europei, dalla Gran Bretagna all’Italia, dalla Svezia alla Germania, hanno guardato a queste elezioni come a una sorta di referendum sull’Europa, un modo per capire se i finlandesi continuano a guardare all’euro con scetticismo e disillusione. Si può dire che il malessere non è passato.

Due candidati hanno impostato la campagna elettorale sul no al piano Salvastati, sulla critica alla politica economica di Bruxelles, sull’opportunità che il paese torni alla sua vecchia valuta, il marco finlandese. Parliamo di Timo Soini, candidato del Veri Finlandesi, e di Paavo Väyrynen, del Partito di Centro. Messi insieme, al primo turno i due hanno convinto un elettore su quattro, totalizzando il 26,9%: 9,4% Soini e 17,5% Väyrynen, che non è approdato al ballottaggio solo per una manciata di voti. Väyrynen è stato una delle sorprese di questa tornata elettorale: all’inizio osteggiato pure da una parte del suo partito, ha saputo andare oltre le previsioni. Nel corso della campagna elettorale, Väyrynen è stato molto duro nei confronti dell’euro e ha anche accusato Parigi e Berlino di non fare abbastanza per risolvere la crisi: anzi, l’asse franco-tedesco starebbe pensando più ai propri interessi che ai problemi del Vecchio Continente. Sia Soini che Väyrynen sono convinti che l’eurozona ormai non sia più la cornice economica migliore per la Finlandia: cattive compagnie determinano cattivi risultati, per ripianare i quali i paesi virtuosi devono sborsare fior di quattrini. E su questo tutti e due i candidati hanno sempre escluso che Helsinki possa contribuire di più al fondo Salvastati. Tanti, in Finlandia, sono della stessa opinione.

Prova ne è quello che è successo al veterano Paavo Lipponen, candidato laburista che al primo turno si è fermato a un deprimente 6,7%. Poco, pochissimo ma in linea con una campagna elettorale che dalle parti dei socialdemocratici non è mai decollata. Frasi del tipo “l’euro è il cuore dell’Unione europea” non hanno fatto presa. E non è un dettaglio ricordare che negli ultimi trent’anni alla presidenza c’era sempre stato un laburista. Stavolta, le idee filo-europeiste sono costate caro. Secondo Lipponen è populista affermare che la Finlandia dovrebbe uscire dall’euro. La sua ricetta anti-crisi è fatta di maggiore integrazione, più autorità a Bruxelles, più meccanismi di controllo e disciplina. Unico tra gli otto candidati a difendere senza se e senza ma la moneta unica, Lipponen è stato pure l’unico ad aprire alla possibilità che in futuro Helsinki possa contribuire maggiormente al fondo Salvastati. Ipotesi che, evidentemente, ai finlandesi non piace.

Niinistö questo sentimento lo ha fiutato e interpretato. E si è mosso cautamente tra le pieghe di un tema – euro, Europa – che ha monopolizzato la campagna elettorale. Del resto, la Finlandia ha legami economici fortissimi con l’eurozona e non è immune agli effetti della crisi: il Pil l’anno scorso aveva fatto registrare un +2,6%; per quest’anno il governo prevede un rallentamento che fermerà la crescita allo 0,4%. Colpa di quella cornice economica di cui parlavano Soini e Väyrynen.

Sull’euro e sull’Europa, Niinistö è stato molto più severo del suo avversario Haavisto, secondo il quale uno dei pericoli per il futuro della moneta unica è rappresentato dalle spinte populiste dei partiti di destra che stanno avanzando in ogni paese. Niinistö è stato più esplicito nel criticare la gestione economica e politica di Bruxelles: questo euro così com’è non va bene, ha detto; se dieci anni fa si fosse saputo che il patto di stabilità non sarebbe stato rispettato, allora la moneta unica non sarebbe stata fatta. Semplicemente. Ora non si tratta di abbandonare l’euro quanto piuttosto di rivedere i pilastri intorno ai quali è stato costruito.

Ma prima di tutto c’è da uscire dalla crisi. Niinistö crede che Bruxelles non stia percorrendo la strada migliore. L’integrazione dovrebbe fare un passo indietro e la soluzione della crisi del debito dovrebbe essere affidata a quelli che Niinistö ha definito dei ‘professionisti’, vale a dire il Fondo Monetario Internazionale. Per il neopresidente, infatti, l’Unione Europea non può essere il soggetto più indicato a risolvere i problemi di uno dei suoi figli (parliamo della Grecia): “Il Fmi potrebbe occuparsene forse in modo brusco” ha spiegato Niinistö, “ma se ne occuperebbe davvero”.

Propositivo sul modo di risolvere la crisi, irremovibile sull’ipotesi che la Finlandia continui a spendere per risolverla, la crisi. Che poi è il motivo principale del malcontento che si respira a Helsinki. La Finlandia non ha alcuna ragione per finanziare oltre la crisi del debito, dice Niinistö: pensare a tenere in ordine le proprie finanze è già di per sé fare la propria parte. E così anche in campagna elettorale Niinistö ha respinto al mittente le parole che Mario Draghi aveva pronunciato poco prima che Standard & Poor’s declassasse il fondo Salvastati: “Potrebbero servire contributi aggiuntivi da parte dei paesi con la tripla A” aveva detto Draghi, chiamando così in causa la Finlandia. No grazie, risponde Niinistö, per ora di altri contributi non se ne parla: anche perché in questo modo la tripla A tanto faticosamente guadagnata la Finlandia rischierebbe di perderla. Una posizione perfettamente in linea con quella del governo. Basta vedere le parole di Alexander Stubb, ministro degli Affari Europei: prima di pensare a un rafforzamento del fondo Salvastati pensiamo a regole di bilancio più severe. Come a dire: che senso ha continuare a finanziare il debito, se il debito è destinato a restare? Se proprio si deve chiedere uno sforzo ai paesi con la tripla A – merce sempre più rara in Europa – allora secondo Stubb a loro deve essere dato anche maggiore peso politico. Che si traduce nel potere di prendere le decisioni che contano.

L’elezione di Niinistö consentirà a Helsinki di chiedere rigore e severità con voce ancora più forte. Se a Bruxelles sperano che le posizioni finlandesi si ammorbidiscano, è probabile che accadrà il contrario. Membro di spicco del Partito di Coalizione Nazionale, lo stesso del premier Katainen, Sauli Niinistö ha totale identità di vedute col governo. La linea che arriva dal Nord Europa non è dunque mutata con queste elezioni: restiamo nell’euro, crediamo nell’euro, ma bisogna cambiare strada prima che sia troppo tardi. In Europa i primi della classe continuano a essere di cattivo umore.