Con l’attentato a Karzai cambia la strategia dei talebani

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Con l’attentato a Karzai cambia la strategia dei talebani

28 Aprile 2008

Il
presidente afghano Hamid Karzai è rimasto illeso dopo un attacco sferrato
domenica mattina da guerriglieri talebani durante una parata militare nel
centro di Kabul, che commemorava la vittoria dei mujaheddin afghani contro il
governo comunista locale nel 1992. Karzai sedeva in un palco allestito per
l’occasione, insieme a esponenti del governo e del  Parlamento nazionale. Vicino a lui anche Dan
McNeill (il comandante della missione Isaf) e gli ambasciatori di Stati Uniti e
Gran Bretagna.

L’attacco
è stato sferrato con razzi (Bm-12 lanciati da piccole piattaforme, a detta dei
talebani), colpi di mortaio e scariche di mitra, a quanto sembra da un hotel
vicino al luogo dove si svolgeva la manifestazione. Nessun colpo avrebbe
raggiunto il palco presidenziale, permettendo a Karzai una rapida fuga. Le stime
parlano di sei vittime e una decina di feriti, tra cui tre attentatori, un capo
tribale sciita, un membro del Parlamento e un bambino di 10 anni. Poco dopo
essere stato portato via dal luogo dell’attentato, Karzai è apparso in
televisione per spiegare agli afghani che la situazione era sotto controllo,
che lui stava bene e che le forze di sicurezza avevano già ucciso o arrestato alcuni
sospettati.

L’aspetto
più inquietante dell’attacco – che a molti ha ricordato le circostanze in cui fu
assassinato Anwar al-Sadat nel 1981 – non sta tanto nel bersaglio scelto dagli
attentatori (il presidente afghano è infatti sopravvissuto ad almeno altri tre
tentativi di assassinio). Ma l’averlo compiuto a Kabul, considerata finora un
luogo relativamente calmo rispetto al sud del Paese, dove si consumano gli
sforzi maggiori nel conflitto con gli ‘studenti di Allah’.

Zabiullah
Mujahed, un portavoce talebano che ha rivendicato l’operazione, ha affermato
che obiettivo dell’attacco non era uccidere il presidente, ma dimostrare a
tutti gli afghani che la guerriglia islamista è in grado di agire e colpire
ovunque nel Paese. Le parole di Mujahed nascondono forse l’imbarazzo per non
essere riusciti a centrare il bersaglio. E’ indubbio, però, che gli insorti
hanno inferto un duro colpo all’immagine del governo Karzai.

Non
sono certo sfuggite all’opinione pubblica interna e a quella internazionale le
immagini che mostravano le forze di sicurezza afghane in fuga dal luogo
dell’attentato, mentre civili inermi rimanevano senza protezione: uno schiaffo
mediatico per Karzai e i suoi sforzi di legittimarsi dinanzi al popolo afghano
a un anno dalle elezioni presidenziali. “La calma di Kabul è solo apparenza”,
sembrano voler dire gli insorti islamisti con le loro bombe.

Alcuni
osservatori scorgono un cambiamento nella tattica dei talebani. Invece di
impegnarsi in sanguinosi scontri frontali con le truppe alleate e l’esercito
afghano (costate un numero altissimo di vittime tra le loro fila nel 2006), gli
uomini del Mullah Omar ora si affidano maggiormente ad attacchi suicidi (140
solo nel 2007), colpendo in particolare negli ultimi mesi Kabul, che ha un
valore propagandistico diverso rispetto a uno sperduto villaggio di provincia.

L’obiettivo
primario della guerriglia sarebbe quello di catturare l’attenzione pubblica
sull’incapacità del governo afghano di provvedere autonomamente alla sicurezza
del Paese. Non è forse un caso che l’attacco talebano sia avvenuto a breve
distanza da una intervista rilasciata da Karzai, nella quale il presidente
afghano criticava Stati Uniti e Gran Bretagna per la condotta della guerra
all’insorgenza islamista: “ E’ ora di lasciare al legittimo governo afghano, il
compito di elaborare le politiche necessarie al bene Paese”, ha detto Karzai.

Il
presidente afghano ha condannato gli attacchi indiscriminati delle forze
straniere, che finiscono per colpire anche i civili. Una strategia che – a suo
dire – ostacolerebbe ogni tentativo del governo di aprire un dialogo con le
frange meno oltranziste della galassia talebana: “La guerriglia non va
combattuta nei villaggi dell’Afghanistan, ma nei santuari di al-Qaeda in
Pakistan”.

La
posizione di Karzai, indebolita dalle critiche incrociate della comunità
internazionale per i miseri risultati ottenuti dal suo governo e dell’opinione
pubblica interna per la sua dipendenza dalle potenze straniere, riassume
sinteticamente il quadro attuale della crisi in Afghanistan, un Paese diviso
tra le speranze popolari di un prossimo ritiro delle forze internazionali e i
timori per un futuro di piena indipendenza privo di reali certezze.